Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Di film che girano a vuoto, senza nè capo nè coda, ce ne sono tanti. La maggior parte sono inguardabili, qualche altro si salva grazie alle invenzioni della regia. Ma Amelio non è certo un visionario, nè un poeta. E allora, niente miracolo in Cina. La sceneggiatura di questo film non va a parare da nessuna parte. L'approfondimento psicologico/esistenziale dei personaggi è quasi inesistente (specialmente per quanto riguarda Vincenzo); lo spaccato sociologico non lascia il segno (a questo punto, tanto vale rivalutare Still Life per capire qualcosa della Cina contemporanea). La vicenda è improbabile, non c'è dubbio. Tuttavia questo non significa niente, se dietro la mdp hai un regista capace di generare nello spettatore quella "sospensione dell'incredulità" che è alla base dell'affabulazione cinematografica (e prima ancora letteraria). Non è il caso di Amelio, ovviamente: autore realista, "civile", sobrio, con un passo da documentarista e una scarsa tensione metaforica (al di là degli intenti). Improprio tirare in ballo Rossellini, in quanto Amelio ha sempre cercato (e talvolta ottenuto) una sorta di pathos, per quanto implicito e sommesso. L'incontro e la reciproca incomprensione fra due culture così distanti è il tema "forte" del film: peccatto che sia annacquato in mille rivoli e in altrettante derive. Gli attori fanno il possibile e Castellitto strappa una sufficienza tirata grazie ad un paio di pezzi di bravura nell'ultima parte: ad esempio, un intenso piano-sequenza in lacrime. Lacrime sprecate, ahimè...
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