Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Vorrei che qualcuno mi spiegasse la faccenda dei “pretesti”. Lo chiedo, perché mi rendo conto che questo film si aggrappa ad un “pretesto”, in mancanza del quale la storia che racconta non potrebbe avere origine. Vorrei però capire come vanno usati, e prima ancora, come vanno creati, questi pretesti, al di là (o al di qua, non so) delle licenze artistiche. Perché, lo dico francamente, il pretesto che usa Amelio in questo film è decisamente al limite (al di là?) del ridicolo: una delegazione di squali cinesi viene in Italia, si porta via, somntandolo, tutto un altoforno, e un (antipaticissimo) “manutentore” si sente in dovere di rincorrerli fino a casa del diavolo per aggiustare un guasto all’impianto che gli squali stessi si sono appena comperati. Già la scena dell’irruzione dell’antipaticissimo manutentore alla cena degli imprenditori cinesi fa acqua da tutte le parti (e questo certamente “al di qua” della licenza artistica), e subito in quest’acqua viene scriteriatamente gettata una sicuramente onesta e volonterosa attice cinese (Tai Ling) alla quale molto però nuoce l’encomiabile sforzo di parlare in un buon italiano, buono fin troppo per, che so…., una riunione d’affari presso una Camera di Commercio, ma stonatissimo in un contesto recitativo. Non pago di tanto astruso pretesto, Amelio fa sì che, una volta giunto in Cina, l’antipaticissimo manutentore….. tho’, guarda chi c’è….. “Buongiorno signorina… Si ricorda di me? Ci siamo conosciuti in Italia…”, che manco a Busto Arsizio è così facile incontrare proprio quella persona lì.
Saran pretesti, chi lo sa. Amelio ha tutta la conoscenza del mondo, è un cinefilo di prima grandezza (ha appena finito di dirigere il Festival di Torino), una competenza e una professionalità indiscutibili. Ma sta inanellando una serie di film impossibili, dall’osannato “Lamerica” passando per “Le chiavi di casa” fino a questo di ambientazione esotica nel quale l’unico pretesto di una certa evidenza che vedo è probabilmente quello utilizzato per poter girare un film in quel nuovo Eldorado che è la Cina. La quale Cina, se proprio è necessario che qualcuno ce la racconti, preferisco di gran lunga che a raccontarcela siano gli ottimi cineasti cinesi che pure con mille difficoltà riescono ad arrivare sul nostro mercato. Per la controprova: guardarsi in successione “La stella che non c’è” e “Still Life”. Provare per credere.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta