Regia di Virgilio Sabel vedi scheda film
Dal pappagallismo alle corna, dal matrimonio alle prostitute, dalla donna emancipata al sistema patriarcale: tutto in una serie di scenette umoristiche che mirano a descrivere l'universo dell'amore di coppia secondo il maschio medio italiano.
Più mondo movie che inchiesta cinematografica, questo In Italia si chiama amore pretende di raccontare un macro-argomento come l'amore (di coppia) secondo il maschio medio italiano con una serie di scenette appositamente girate e commentate da un sarcastico narratore esterno. La formula della sceneggiatura di Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile, Luigi Magni e del regista Virgilio Sabel è insomma quella di Gualtiero Jacopetti e soci, sebbene il raggio geografico della pellicola qui si limiti al Belpaese; la principale e forse unica nota positiva del lavoro viene dalla voce del narratore, che è quella di Nino Manfredi. Ma il commento è in più momenti becero, retrogrado, maschilista in un modo che oggi fa soltanto vergognare: eppure nel 1963 già l'idea di parlare di argomenti come prostituzione o virilità era troppo avanti per i tempi. Pertanto la scottante materia narrata risente di una forte impostazione fallocentrica inevitabile per quel momento storico in Italia. Gli attori sono tutti dilettanti totali, ma pur sempre attori, nonostante il film voglia spacciarsi per affresco genuino e costruito senza alcun tipo di preparazione, soltanto indagando qua e là nelle vite delle personi comuni. Nulla di tutto ciò, naturalmente, ma In Italia si chiama amore è comunque un lavoro godible, se si tengono presenti i grossi limiti già citati. Musiche di Armando Trovajoli. Sabel girerà un altro documentario un paio di anni più tardi (Nude, calde e pure, 1965) per poi scomparire per sempre dal grande schermo (troverà maggior fortuna sul piccolo, in ogni caso). 2,5/10.
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