Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Il viaggio della Icarus II verso il sole nel tentativo di ricaricarlo con un ordigno nucleare da far deflagare all’interno della stella e ridare vita alla terra, agonizzante sotto i ghiacci, risente di atmosfere derivanti da altri film di simile ambientazione, Event Horizon, 2001, Alien. Ma, pur sullo sfondo siderale e nell’aspetto generico da blockbuster catastrofico, Sunshine rimane fondamentalmente fedele ai temi cari a Danny Boyle, alla fascinazione per un mondo astratto e attratto dalla perdita di sé, in cui i personaggi coltivano un’utopia lisergica di isolamento sociale e ricerca interiore. Fricchettoni high-tech, anche i componenti dell’equipaggio incaricato di salvare il genere umano si alienano a poco a poco dall’universo circostante, dal vuoto spaziale per cercare un solitario vuoto interiore. Ma questa ricerca di assoluto si scontra con il desiderio di assolutismo di un singolo che trasforma il sogno lisergico in bad trip orrorifico, scatenando una caccia all’uomo che trascina il film verso l’action movie ad eliminazione rapida dei personaggi. Sunshine rimane quindi coerente con i percorsi trascorsi di The beach o 28 giorni dopo (e in parte di Trainspotting) in cui la deriva fascistoide di un personaggio, l’illusione di onnipotenza tradisce il comune desiderio iniziale, fa deviare la narrazione e la quasi raggiunta felicità, sinonimo di equilibrio interiore, verso l’incubo.
Ovviamente, la vicinanza al sole, fonte di vita dell’intero sistema planetario, accresce la potenzialità distruttiva dei deliri assolutistici facendo di uno dei personaggi un serial killer cosmico con la presunzione di voler essere l’ultimo uomo nell’universo in modo da poter parlare direttamente con Dio. Se il ritorno alla polvere è inevitabile, che almeno sia polvere di stelle. Il lunatico solare sabota così la missione e massacra voluttuosamente i compagni di specie, dopo aver irrimediabilmente danneggiato il primo Icarus e fatto fuori l’altro equipaggio. Se i suoi piani ovviamente falliscono, l’ultimo sopravvissuto vive comunque (per pochi istanti) l’illusione di una simile esperienza, sebbene variata di grado: si trova al cospetto del mistero cosmico, ovvero del potere di rigenerare la vita. Gli angelici tratti di Cillian Murphy, ultimo salvatore degli uomini attraverso l’offerta del sacrificio personale, non fanno che rafforzare le conseguenze mistico-esistenziali derivanti. In Sunshine si assiste all’opposizione tra due forme di religiosità egocentrica, un’attitudine contemplativa privata e autoreferenziale, benevola, e un’autocelebrazione aggressivamente predatoria, distinte solo nella imposizione o meno del sacrificio, offerto o esatto a seconda del caso. Il new age cosmico di Boyle si traduce anche visivamente in tentazione allucinatoria: le strane immagini subliminali del vecchio equipaggio inserite nel momento di contatto tra le due Icarus, insistite inquadrature di dettagli del viso o degli occhi, i riflessi abbaglianti ed astratti, la forma perfettamente sferica e misteriosamente volubile del sole, l’ambiguità intrinseca di un calore devastatore e rigenerante.
Il film vorrebbe farsi via via più evanescente, perdere corporeità e pesantezza, tendere all’astrazione teoretica kubrickiana nella sintesi dei contrasti, ma l’attrazione parossistica e autodistruttiva verso la luce fa del film, e dei suoi personaggi, una fragile falena che si brucia al cospetto di una stella troppo luminosa, cadendo come Icaro, per troppa ambizione e temerarietà. Rimane divertente che Doyle abbia scelto come co-protagonista Chris Evans, un attore attratto dai ruoli flambé, visto che ha vestito e vestirà i panni ardenti della Torcia umana nei Fantastici 4.
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