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Il diavolo veste Prada

Regia di David Frankel vedi scheda film

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La recensione su Il diavolo veste Prada

di Antisistema
4 stelle

Uno dei pochi cult del nuovo millennio e la commedia romantica di maggior successo degli anni 2000, naturalmente il Diavolo Veste Prada di David Frankel (2006) non poteva che essere una cagata pazzesca e sopravvalutata da una critica mediocre e da un pubblico bue, i quali l'hanno salutata come una intelligente satira nera sul mondo oscuro della moda e le sue regole spietate, peccato che non ho visto nulla di tutto questo nel film, il cui messaggio si può benissimo racchiudere in "lecca il culo, fai lo stronzo, compiaci il tuo capo e vedrai che otterrai la sua stima e farai carriera".

Devo premettere che il sottoscritto e la moda siamo due rette parallele, che per il noto assioma non si incontreranno mai e fosse per me incenerirei con la fiamma ossidrica tutto quel mondo e gli imbecilli che decidono se sei "in" o "out" in base all'abbigliamento, creando un perverso meccanismo classista al quale oramai molti si conformano, causando problemi invece a chi come me ha sempre privilegiato la comodità come criterio di scelta del vestiario o comunque abbinamenti dettati dalla mia testa e non dal sistema; quindi una pellicola del genere forse già non partiva con i favori del pronostico, dimostrandosi anche inutilmente pretenziosa nel voler di facciata criticare il mondo della moda, quando in realtà il regista e lo sceneggiatore graffiano quel mondo con gli artigli di un cucciolo di gatto, risultando inoltre ruffiani poiché finiscono subdolamente con il celebrare l'oggetto della loro critica, in sostanza la morte della satira nera quindi, anche perchè qua di nero purtroppo c'è solo la qualità di cinema alla base di questa pellicola. 

 

 

Nel vuoto di una narrazione ipocrita e senza idee originali, con una regia inesistente, il difetto peggiore sono i personaggi che praticamente non esistono, non sono credibili e sono scritti con il buco del culo; Andrea Sachs (Anna Hathaway) è una giovane laureata in carriera appena giunta a New York con l'obiettivo di fare la giornalista e trova un miracoloso impiego come seconda assistente di Miranda Prisley (Meryl Streep), tirannica ed eccentrica direttrice della rivista di moda Runway, che vuole sfruttare come rampa di lancio per fare carriera. Sin dalle premesse il film svacca di brutto sul suo voler fare satira nera, poiché risulta improbabile l'assunzione di una ragazza che di moda ne sa meno del sottoscritto tanto da non conoscere neanche un marchio come Gucci, và bene il costruire un personaggio "ingenuo", ma nel 2006 neanche la più isolata al mondo tra le ragazze, poteva ignorare cosa fosse Gucci. Per il resto la narrazione si sviluppa in una fiacca riproposta di una donna in carriera senza guizzi o intuizioni, dove la nostra Andrea si unirà al sistema moda grazie al "pigmalione" gay Nigel (Stanley Tucci), compiendo commissioni sempre più difficili ed impossibili per Miranda, arrivando a scalzare la prima assistente Emily (Emily Blunt), ma trascurando sempre di più gli amici ed il fidanzato Nate. Si vuole spacciare Anne Hathaway per una ragazza goffa, cessa e soprattutto "grassa" perché taglia 42, sponzorizzando subdolamente, tra una lode di Nigel e uno spot patinato da videoclip, la taglia 38 per tutte le donne in modo maldestro, arrivando ad un finale "morale" abbastanza fuori luogo, dove si assolve il personaggio di Miranda, perché sarà anche una stronza dalle pretese impossibili, però è una che guarda avanti, quindi giustificata nei comportamenti che tiene, d'altronde anche lei nel profondo del suo cuore è un essere umano come tutti, sta agli altri scoprire il contorto sentiero che conduce alla meta.

In sostanza la satira che assolve la moda ed il capitalismo, d'altronde la tanto osannata Meryl Streep con i suoi tic e manierismi non fa altro che rendere più iconico possibile e quindi sempre meno credibile il suo personaggio, conquistandosi una immeritata nomination agli Oscar, mentre Anne Hathaway paga un personaggio scritto in modo troppo esagitato e costretta ad una recitazione caricata, alla fine è la brava Emily Blunt a salvarsi grazie alla sua abilità nel ritirarre un personaggio in costante crisi di nervi nel dover gestire l'agenda di Miranda. Un Faust moderno secondo alcuni, un buco nell'acqua clamoroso per tutti gli altri, causa di un film che resta in superficie senza mai scavare troppo nel profondo, d'altronde perché sforzarsi troppo? Oltre 300 milioni ai botteghini a fronte di un budget di 35, danno ragione a chi ha realizzato l'opera.

 

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