Regia di David Frankel vedi scheda film
Il luogo di lavoro può diventare un avamposto dove si lotta per la sopravvivenza, non si mangiano cipolle (ci si sfama ben poco, a dire il vero) e ci si bazzica esclusivamente per puntare in alto, partendo dall’alto (solo una, tra le pretendenti a “Runway”, sembra condurre un’esistenza umile o indigente). In bilico tra il piantonamento della scrivania e le corse per i caffè, le bistecche e i capricci della caporedattrice, le giovani tirapiedi dei maggiori colossi industriali della moda sembrano pronte a fare magie miracolose, meglio di Harry Potter.
All’arrivo di Miranda Priestly, a inizio film (una tra le sequenze più divertenti), si vedono scene da panico: corse a riempire bicchieri d’acqua sulla scrivania, disposizione maniacale delle riviste e dei quotidiani, gli impiegati impazziti nel cercare di mettere in ordine gli uffici in un batter d’occhio, cambi volanti di scarpe, ritocchi al lucidalabbra, perfetti sconosciuti che si scansano al passaggio del “diavolo” che veste Prada.
La carogna non è così brutta per come si vuol dipingere, e non poteva non far nascere un’intesa quasi intima con l’altra donna protagonista, dal momento che la giovane neolaureata Emily, cioè Andrea, viene a conoscenza di qualche dettaglio della sua vita privata (il suo nascosto lato umano) e inizia a vestirsi à la mode, come certe riviste impongono, vendendo parte della sua anima.
Stanley Tucci ha il volto adeguato per il ruolo dell’estroso stilista Nigel che risulta narrativamente vitale al film: si muove a scatti e ha una mimica impagabile, esaltando una volta di più tutte le sue doti di caratterista. Meryl Streep, la dirigente più arrogante e ostinata dell’universo, è semplicemente divina nel suo ruolo comico, e aggiunge un altro personaggio indimenticabile alla sua galleria di soggetti “leggeri”. Il suo piccolo cenno della mano, accompagnato da un chiaro “è tutto”, è uno straordinario commiato per i subalterni. Anne Hathaway è di una bellezza maestosa e ha movenze graziose, sia che indossi trasandati maglioncini cerulei e abiti rigorosamente non griffati che si protenda con stivali firmati Chanel o con favolosi abiti da sera.
Il montaggio, aiutato dalla colonna sonora à la page di Madonna, Jamiroquai & C., sostiene il ritmo della sceneggiatura e rende la pellicola un piacevole e cadenzato scorcio sul mistificatorio mondo delle futilità moderne. Pregevolmente glamour, nelle mani navigate di David Frankel, il “Diavolo” diventa una sagace commedia sulla frivolezza delle realtà fashion e, allo stesso tempo, un fenomeno di costume. Fuori luogo il frammento sulla morale negli ultimi minuti del film: era proprio necessario virare sul coup de théâtre per ribadire i crimini e i misfatti di un’arrivista?
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