Regia di Oliver Stone vedi scheda film
11 settembre 2001. Un gruppo di agenti dell’autorità portuale di New York aiuta i vigili del fuoco nelle operazioni di soccorso immediatamente successive all’impatto dell’aereo sulla prima Torre. Una volta crollate le strutture soltanto due poliziotti si salvano, ma restano imprigionati sotto le macerie. Da una storia vera, il film di Oliver Stone peggio accolto dai supporter abituali, quelli che lo hanno sovrastimato prima e lo denigrano adesso. Non essendo tra questi, ci sfugge in cosa World Trade Center sarebbe differente dal resto della sua produzione. Certo l’approccio alla materia è familista, nazionalista, quindi “di destra”, quando all’epoca di Platoon, Nato il 4 luglio e Talk Radio il messaggio era progressista. Tuttavia il regista non ha perso né il pelo né il vizio: con i suoi ralenti al momento sbagliato, la magniloquenza fuori posto, le psicologie da discount dell’introspezione narrativa, è oggi come allora un macellaio della visione. Ciò detto, World Trade Center ci pare una delle sue cose migliori, almeno tra le ultime. Il populismo che trasuda dalle immagini è quello tipico dei film retorici hollywoodiani dei tempi di guerra (e loro così si sentono: in guerra). Perché farseli andare bene se storicizzati e invece storcere il naso se legati a doppio filo con l’attualità? Stone, nella sua rozzezza, mostrandoci addirittura Gesù Cristo tra i detriti, gioca da subito a carte scoperte. Dirige il primo film che entra a gamba tesa nella più grande tragedia del nostro tempo e ce ne fa vedere solo un’ombra (belli, ammettiamolo, i venti minuti iniziali). Invece di cercare morbosamente l’autenticità del dolore e dell’angoscia secondo lo stile di pseudodocumentaristi come Michael Moore e Paul Greengrass (quest’ultimo regista del peggior film dell’anno: United 93) trasforma tutto in romanzo d’appendice, con i primi piani finti sulle mogli che aspettano notizie dei propri cari e loro, i cari, impegnati in improbabili dissertazioni sul senso della vita sotto tonnellate di cemento. Un filmone americano kitsch fino al midollo ma a suo modo coraggioso. Per questo gli vogliamo bene.
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