Regia di David Lynch vedi scheda film
Ultimo film girato per il cinema da David Lynch, "Inland empire" risulta senza ombra di dubbio una delle opere più estreme del suo percorso di sperimentazione e decostruzione del linguaggio filmico. Il film può essere associato alle più svariate interpretazioni o essere anche ritenuto privo di un senso compiuto; in termini estetici ha spaccato nettamente la critica in diverse fazioni, con reazioni che vanno dal capolavoro assoluto dei lynchiani doc al rigetto infastidito e rabbioso di chi invoca la necessità di collegare le immagini ad un discorso razionale o in qualche modo almeno intellegibile. "Inland empire" é pura avanguardia che si libera presto della trama per trascrivere il flusso della coscienza della protagonista e di alcuni altri personaggi che gravitano intorno a lei nella Los Angeles di oggi; Lynch sembra tornare volutamente alle origini del suo cinema, a quell'Eraserhead che segno' il suo debutto dietro la macchina da presa con un'opera totalmente surreale e antinarrativa. Rispetto al primo film, però, qualcosa qui finisce per contorcersi e girare a vuoto: innanzitutto la durata di tre ore risulta davvero impegnativa, troppo inzeppata di false piste e sequenze che non aggiungono nulla anche se riviste più volte; la sua opera d'esordio poteva contare su un bianconero fortemente contrastato che risultava molto più cinematografico e plasticamente efficace rispetto al digitale qui utilizzato senza forti motivazioni a livello creativo, e anche le suggestioni horror e il sound design di quel film erano più inquietanti rispetto ai brividi veri o presunti di "Inland". Non vorrei però che chi sta leggendo prenda a questo punto la recensione come una stroncatura, perché non è mia intenzione: mi ritengo comunque appagato dalla visione e da quanto Lynch propone in termini di immaginario estetico, solo che trattandosi di un'opera di alte ambizioni, credo sia normale esprimere alcune riserve nel confronto inevitabile con le pellicole che l'hanno preceduta. Ottima interpretazione di Laura Dern, senz'altro la sua più completa diretta dal regista, che regge con bravura i numerosi primi piani, mentre fra i caratteristi si apprezza ancora la fotogenia di Justin Theroux e la minacciosa presenza di Grace Zabriskie. Il delirio visivo e narrativo é spinto qui alle estreme conseguenze, lasciando completamente libero il giudizio sulla sua qualità artistica, ma il fatto che nei quindici anni successivi Lynch non abbia girato altri lungometraggi lo pone come opera testamentaria, sintesi del suo cinema e sfida temeraria a tutti i detrattori che non concepiscono l'oggetto film totalmente svincolato dai canoni tradizionali della rappresentazione. Lampi di genio alternati comunque ad una tetraggine che rischia la noia (ad esempio negli sfoghi verbali della Dern da una specie di psicanalista) sono il corollario di un film che andrebbe visto più volte, senza pretendere di chiarire tutti i nessi.
Voto 8/10
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