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INLAND EMPIRE

Regia di David Lynch vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su INLAND EMPIRE

di AtTheActionPark
10 stelle


È un errore pensare che INLAND EMPIRE sia un’opera priva di senso – ovvero, semplice e pura sperimentazione audiovisiva atta a stordire sensorialmente lo spettatore. L’ultimo lungometraggio di Lynch non è solo un’esperienza cinematografica liminale. Piuttosto, è un’opera estremamente complessa e sfaccettata il cui principale scopo – perché uno scopo, nascosto o forse fin troppo evidente, c’è – è quello di liberare tutte le istanze dai loro eterni ruoli (cinematografici e para-cinematografici). Un processo che coinvolge tanto gli elementi narrativi della storia (cinematografica) - i personaggi, i loro ruoli, le loro relazioni - quanto i loro rapporti con lo spettatore. La complessità, ovvero ciò che rende l’opera lynchana così impervia e criptica risiede nel (riuscito) abbattimento dei rapporti di (ir)realtà e verosimiglianza che costituiscono le basi della struttura significante stessa. Un film costituito, nella sua forma così sfuggente, da un continuo ribaltamento dei piani, atto a scardinare dall’interno princìpi e relazioni che il tempo e l’abitudine cinematografici hanno imposto. Dunque, INLAND EMPIRE è sì un film sul cinema, ma anche una scommessa: una rischiosa e radicale ritrattazione del senso. Dunque, non ci si deve affatto “abbandonare alla visione” con fare quasi New Age, ma – come suggerisce il filosofo Slavoj Zizek - attivarsi per comprendere davvero la portata rivoluzionaria di questo capolavoro lynchano.
 
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INLAND EMPIRE è, come suggerisce Fossali nel suo libro dedicato al regista [Interpretazione tra mondi – Il pensiero figurale di David Lynch], innanzitutto un «contenitore di mondi possibili», gli uni problematicamente “incassati” negli altri. Ciò crea una rete inestricabile (e spesso apparentemente oscura) di piani spaziali e temporali che, nel corso del film, tendono a confondersi tra loro. Principalmente vi sono tre livelli, tre strutture nelle quali la protagonista (Nikki/Susan) si muove, e dalle quali accede e viene espulsa continuamente: il mondo “possibile” dell’attrice Nikki; il mondo “possibile” del personaggio Susan (ovvero il film interpretato da Nikki, Fra le stelle di un grigio domani, remake di un misterioso film polacco intitolato 47), e il mondo “possibile” della Donna Reclusa, la spettatrice imprigionata in un luogo non meglio precisato, e costretta a guardare continuamente il programma televisivo Rabbits.
 
Come nei più classici film sul cinema, anche in INLAND EMPIRE realtà e finzione si confondono tra loro. L’attrice Nikki non distingue più la (sua) realtà con quella del personaggio interpretato, Susan, così come non riesce più a separare la relazione extra-coniugale con l’attore Devon da quella con Billy, personaggio del film. Il primo a muoversi attraverso queste compenetrazioni di (ir)realtà è il marito di Susan/Nikki – descritto con grande arguzia da Fossali, nel già citato libro, l’«eterno marito» di natura dostoevksijana. Il suo è il medesimo ruolo sia nel mondo possibile di Susan che in quello di Nikki. Per di più, le sue origini polacche propongono un’ulteriore interrelazione con quel film di cui Nikki sta interpretando il remake. Quello del “Marito Tradito e Geloso” è il ruolo che, per primo, si denuncia come “eterno”, senza modifiche, immutabile. Lynch utilizza quindi stereotipi quali quelli del mélo (evocato, tra l’altro, anche dal topos del Cinema nel Cinema – vedi Eva contro Eva, Viale del tramonto, ecc) per rimarcare/ricordare la natura cinematografica che intende “svuotare”.
 
Se nella “realtà” di Nikki il marito tradito non ha nome, nel film Fra le stelle di un grigio domani è Smithee, appellativo che rimanda a quella celebre usanza hollywoodiana di intestare ad “Alan Smithee” – nome fittizio per consuetudine come potrebbe esserlo John Doe – la paternità di un’opera non riconosciuta dal regista. Questo parallelo tra regista e marito è importante, e si contrappone a quello di attrice e moglie, che sancisce bene quel ruolo di sudditanza che, banalmente, si caratterizza attraverso un rapporto attivo/passivo. Non è un caso, allora, che il personaggio con cui lo spettatore di INLAND EMPIRE si immedesima sia una donna (elemento che da passivo deve diventare attivo, come lo spettatore che vede il film), né stupisce che il suo viaggio, la sua “odissea” sia finalizzata a “scardinare” i ruoli che, da sempre, la imprigionano. Nikki è infatti un’attrice: deve interpretare ruoli altri-da-sé, sotto la direzione e il condizionamento esterni (del regista, del marito… ). Infatti, più di una volta nel corso del film vediamo mani che indirizzano quei movimenti che Nikki/Susan deve compiere (spesso soggettive che mostrano un braccio che indica un punto/un luogo da raggiungere). Una suggestione (evocata anche dal refrain dell’ipnosi spesso citata nel film) dalla quale ci si deve liberare, parallela al condizionamento che il programma televisivo Rabbits impone alla Donna Reclusa – lo spettatore stesso di INLAND EMPIRE?
 
Nikki/Susan oltrepassa così i mondi possibili cinematografici, grazie all’aiuto di un gruppo di prostitute. Lei stessa, nel finale de Fra le stelle di un grigio domani, si scoprirà prostituta – di nuovo un altro ruolo da interpretare, e dal quale cercare di liberarsi. La morte cinematografica di Susan (che passa attraverso una delle sequenze più intense del film, ovvero quella che la vede agonizzare tra due donne senza tetto) permette il risveglio di Nikki-attrice, che abbandona il set e può finalmente recarsi in un misterioso hotel dove fermare l’«eterno ritorno» cinematografico. Dopo le confessioni ad un personaggio non meglio identificato (ma l’azione ha tutti gli aspetti di una seduta psicanalitica dove la donna rievoca alcuni traumi del passato e i rapporti conflittuali con gli uomini) che più volte interrompono il film, Nikki si appropria di una pistola, e nel corridoio dell’hotel uccide un uomo dal volto deforme (forse, la summa di tutti gli uomini-registi-mariti-amanti-papponi che abitano l’universo caotico di INLAND EMPIRE), e libera finalmente la Donna Reclusa dalla sua immobile condizione spettatoriale. Il “personaggio” è entrato in campo, e guarda direttamente in camera, mandando in frantumi lo spettacolo cinematografico/l’illusione di (ir)realtà. Le infinite possibilità, gli eterni “domani” hanno finalmente una conclusione. L’ultima immagine del film, prima dell’epilogo musicale dei titoli di coda, chiude il possibile futuro di Nikki, iniziato durante il dialogo con la vicina di casa («se oggi fosse domani tu saresti seduta lì»).
 
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Come nell’8 ½ di Fellini, anche INLAND EMPIRE si conclude con una danza liberatoria – dove, tra l’altro, v’è contenuto idealmente un po’ tutto il cinema lynchano, da Twin Peaks a Mulholland Drive. Con il suo ultimo film, Lynch ha compiuto quello che si potrebbe definire un esorcismo cinematografico attraverso il quale tutti i ruoli, sia dei personaggi che lo spettatore stesso, sono stati “scossi” con forza dalle loro posizioni classiche e prestabilite. Poiché la posta in gioco è proprio il senso stesso, continuamente sovvertito e bombardato. La struttura in abisso del film è necessaria per esemplificare quell’odissea che conduce il personaggio fino alla più estrema delle liberazioni, quella spettatoriale. Nello stesso modo, il film di Lynch, letteralmente, sgretola la condizione strutturale della narrazione cinematografica, attraverso le continue infrazioni strutturali. E tutto questo (ed è importante ricordarlo) senza l’utilizzo di mezzi intellettualistici o distanzianti (come, invece, potrebbe fare il cinema di Jean-Luc Godard). Psicanalisi e sogno sono sì evocati, ma non costituiscono mai una forma rigida di esegesi. La liberazione avviene unicamente nella visione stessa, senza mediazioni. Allo spettatore è destinata la chiave per aprire quella porta. Sempre se vorrà vederla.
 

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