Regia di Paul McGuigan vedi scheda film
Paul McGuigan si crede il nuovo Tarantino. Fa e disfa con una maniacale dinamicità creativa. Ma il regista di “Slevin – Patto criminale” non fa i conti con il fatto che il bello di Tarantino fosse la sua incredibile originalità. Copiare un precursore significa non fare nulla di poi tanto eccezionale. Ecco che con questi presupposti, in uno stile tra “Pulp fiction” e “I soliti sospetti”, McGuigan mette in scena un film che ha la pretesa di essere originale e squassante, ma che in realtà si rivela, prevedibile. Alcune trovate sono intuibili a priori proprio perché si conoscono già la poetica di Tarantino e lo stile di Bryan Singer.
Josh Hartnett è Slevin, ragazzino svampito della provincia che, in seguito a numerose peripezie, decide di trasferirsi per un periodo a New York, ospite di un amico che però inspiegabilmente, al suo arrivo, sparisce. A New York, Slevin si ritrova nel bel mezzo di una faida tra due gangster, il rabbino (Ben Kingsley) e il boss (Morgan Freeman): entrambi, inspiegabilmente, ce l’hanno con l’amico di Slevin, ma se la prendono con lui: lo mettono in mezzo alla faida e gli rovinano anche la storia d’amore con Lindsey (Lucy Liu). Ma alle spalle di tutti c’è un silente e sibillino killer, Mr. Goodkat (Bruce Willis), che potrebbe essere la soluzione all’enigma delle disavventure di Slevin.
Sulla trama è già stato detto troppo: trattandosi di un film singertarantiniano sicuramente non si può svelare di più. Sull’estetica cinematografica nulla da dire: ottima la messa in scena, ottima la sceneggiatura, il problema rimane quell’autocompiacimento di fondo, misto a manierismo di sorta che lo rendono, di fatto, spocchioso. Anche se occorre dire che il film appassiona e non è affatto un cattivo prodotto.
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