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Time

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Time

di EightAndHalf
8 stelle

Sopra la clinica per effettuare interventi di chirurgia estetica c'è scritto "Do you want a new life?". Durante un dialogo particolarmente drammatico la protagonista afferma: "Avevo paura del tempo, del tempo che cambia tutto quanto". Qual è il nesso fra la prima e l'ultima frase? Cosa succede fra questi due quesiti? Time. Kim concretizza l'astrazione temporale, con uno stile quasi sereno, che non utilizza lo sconvolgente visivo ma che si limita a suggerirlo. Il tempo si traduce nel viso, nell'invecchiamento, nel "cambiamento" continuo delle identità. Noi non facciamo altro che assecondarlo, e non siamo in grado di fermarlo, nonostante le apparenze possano 'apparentemente' dire il contrario. Di fronte a tanta storia al limite del grottesco (che avrebbe fatto leccare i baffi a Pirandello) l'uomo è l'essere più debole e infelice che possa esistere. La compassione umanistica Kim la dimostrava fin da Primavera, estate.., ma mai giocando così con la narrazione, che in Time, rispetto a Ferro 3 o anche a L'arco, appare ingrassata, riempita a sbafo, senza contegno né ritegno. Si potrebbe immaginare che il sadismo con cui Kim si comporta(va) con i suoi personaggi nel passato (e nel futuro) qui si verifichi altrettanto ma con molto più pudore, con un efficacissimo senso di straniamento che separa definitivamente toni (romantici e quasi ripetitivi) e tematiche (sconvolgenti e estreme), che trasforma l'amor fou nella vendicativa negatività della gelosia. 
Se ci fermassimo alla semplice riflessione sull'essere e apparire, che è comunque trattata in maniera originale e imprevedibile, allo stesso tempo ridurremmo la capienza enorme di Time di Kim Ki-Duk, il cui limite fondamentale diventa l'illimitatezza, una lunghezza sterminata ma contratta in un'ora e trentaquattro, levigata visivamente ma screziata e turbolenta dal punto di vista delle dinamiche umane. Il tempo, l'amore, la scienza, l'identità, l'arte, noumeni astratti che Kim riesce a concretizzare con tutte le tragiche conseguenze dell'operazione (estetica), dunque una trama assurda, complicata e immensamente affascinante, personaggi manipolabili e cangianti come cambiano i loro visi. Il tempo cambia tutto, ma anche l'uomo non fa altro che cambiare tutto, si sente nel diritto di farlo, e non per un semplice e tracotante peccato di hybris, ma nella più ingenua e folle volontà sentimentale, per mettere alla prova un amore, per regalargli novità che il tempo renderebbe monotone o semplicemente stancanti, per risolvere un conflitto. Ma il cambio di identità è doloroso, passa attraverso un intervento di chirurgia estetica che Kim mostra immediatamente in tutta la sua crudezza. Ed è altrettanto cruda la trasformazione dell'essere umano che non fa altro, così, che aumentare le distanze ed enfatizzare quell'incomunicabilità (del sentimento) che Kim ha adorato esporre ed analizzare fin dalla sua prima pellicola. Che Time sia programmatico è abbastanza vero, è evidentemente costruito a tavolino e ricco di inverosimiglianze, ma non è certo il realismo quello che il regista coreano cerca, quanto piuttosto un sottile discorso cinematografico sulla violenza psicologica, interiore, sulla sgradevolezza, suggerita dalle poetiche statue sulla sabbia che sembrano nuvole ma sono corpi nudi che ci compenetrano eroticamente, e infine sulla spietatezza dell'uomo e del destino, che rende tutto circolare, ripetitivo, una ringcomposition in cui la sofferenza degli ultimi sarà anche la sofferenza dei primi, con un espediente tematico finale assurdamente 'in più' ma anche profondamente curioso, interessante, specie nello sguardo che Kim alla fine getta su una folla di persone che processano senza meta verso il masochismo esistenziale, che non è più un amo da pesca inserito in gola - Seom. Che forse siamo tutti uguali, benché con diversi connotati? Che forse non riusciamo ancora a insegnarci come evitare la sofferenza, benché siamo riusciti a esperirla del tutto?

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