Regia di Joseph L. Mankiewicz vedi scheda film
Il tema della follia mi ha sempre affascinato sin dalla lettura di alcune opere di Luigi Pirandello; il pazzo è colui che ha compreso la realtà per quella che è, quindi si estranea da essa (e come tale viene ritenuto pericoloso perché portatore di verità scomode), mentre i normali credono di aver capito tutto quando in realtà non vedono minimamente la loro pazzia. Tennesse Williams forse aveva letto le opere dell'autore siciliano quando decise di unire alla sua solita roba, il tema della follia anche se purtroppo non ha le capacità di Pirandello che gli era nettamente superiore in ogni campo della letteratura. La fortuna da parte del drammaturgo americano è aver ricevuto molte trasposizioni cinematografiche dei suoi lavori che lo hanno reso celebrato e riverito. A dispetto dell'isteria generale che lo vede come un grande, io invece tendo e ridimensionarlo e a vederlo un po' monotematico e anche invecchiato non troppo bene (al giorno d'oggi l'omosessualità è sdoganata ed accettata fortunatamente). Improvvisamente, l'Estate scorsa (1959), di Mankiewicz è l'ennesima trasposizione cinematografica di una sua opera teatrale e rispetto ad altri film come Un Tram che si chiama Desiderio (ancora da vedere come film, ma di cui ho letto l'opera teatrale mella collana Einaudi) e La Gatta sul Tetto che Scotta, questa pellicola non ha ricevuto molte attenzioni, né è stata rivalutata dalla critica in generale.
La sceneggiatura di Vidal e Williams è molto teatrale sia nelle location che nei dialoghi troppo costruiti e troppo letterari nell'impostazione, con abbondante uso di digressioni narrative e simbolismi marcati più adatti alla pagina scritta che al cinema, ancora concepito come subordinato rispetto alla letteratura. Fortunatamente per lo spettatore c'è Mankiewicz che pur non sceneggiando il film, come regista ha fatto invece dei passi in avanti abbastanza importanti rispetto ai precedenti film; basta vedere l'intricato giardino volmo di ramificazioni e piante tropicali dove la messa in scena artificiosa della scenografia si lega perfettamente con il personaggio dell'anziana riccona Violet, interpretata da una calcolatrice e straordinaria Katherine Hepburn, che adopera le sue mani e i suoi artifizi retorici per incantare il dottor Cukrovicz (Montgomery Clift), per convincerlo a lobotomizzare la nipote Catharine (Elizabeth Taylor), apparentemente impazzita a seguito della morte di Sebastian, figlio della zia. La messa in scena volutamente artificiosa combinata all'atmosfera cupa e morbosa del giardino e poi dell'istituto psichiatrico, avvolgono come una fitta nebbia l'oscura vicenda intorno alla fine di Sebastian, il quale sicuramente non è morto per un mero attacco di cuore. Il clima e l'atmosfera è allucinata e fortemente ansiogena, con scene figurative molto malate e forti nel loro impatto, intervallate da un gran numero di dialoghi (anche didascalici e ripetitivi) e monologhi di Catharine, che tenta di rimuovere su insistenza del dottor Cukrovicz, ogni tentativo di inibizione dei ricordi che la giovane donna si è inconsciamente auto-inflitta per celare un orribile verità, che sua zia vorrebbe distruggere usando ogni mezzo. Il mistero troverà una luce sinistra solo nel giardino primordiale e selvaggio della residenza della ricca signora Violet. La rivelazione finale è da brividi con una costruzione figurativa del flashback molto allucinogena, solo che c'è un enorme problema; la parola non è all'altezza delke immagini per via della cesura. Non voglio svelare nulla del mistero intorno al cadavere di Sebastian, solo che censurare un tema cardine dell'opera teatrale relativa alla privacy del ragazzo, finisce poi per far venire in parte meno la costruzione triste a cui andrà incontro Violet e perché voleva mettere a tacere tutto (che ovviamente non riguardava di certo solo la mera fine di Sebastian). Peccato il ritratto negativo e caricaturale dei ragazzi Spagnoli, ritratti come se fossero un misto tra Messicani straccioni ed indigeni poco evoluti.
La miglior perfomance della pellicola è di una Katherine Hepburn al suo primo ruolo negativo. Ebbe una marea di contrasti con Mankiewicz, perché il regista sul set demoliva ogni costruzione del suo personaggio che s'era fatta in precedenza. Inoltre il regista ed il produttore (Sam Spiegel) predevano in giro un sofferente Montgomery Clift post-incidente per via della sua omosessualità; comportamento che l'attrice ha sempre mal sopportato. Nonostante il carattere difficile, Katherine Hepburn non ha fatto mai mancare un aiuto anche meramente morale ai suoi colleghi in momenti difficili dal punto di vista professionale, anche con mere lettere d'incoraggiamento (Judy Garland, Audrey Hepburn, Marlene Dietrich e Peter O'Toole tanto per fare dei nomi ne sanno qualcosa); al termine delle riprese del film diede un sonoro ceffone al regista e sputo' in faccia al produttore (grande Katherine). Elizabeth Taylor ovviamente ne esce oscurata dal confronto (anche se fortuna per lei, sono poche le scene a tu per tu nel film), complice anche un personaggio che non viene mai spinto sino in fondo, tanto da far dubitare che non sia veramente pazza, anche se riesce ad emergere nel lungo monologo finale (con tanto di flashback in costume bianco dove ha il suo perché). Montgomery Clift ha un ruolo meno appariscente, ma nonostante fosse sofferente nelle sequenze di lunghi dialoghi, recita in modo sopraffino il ruolo di un dottore che non deve apparire, ma osservare per porre al momento giusto poche domande per arrivare a scoprire la verità. Purtroppo data la preferenza del pubblico verso ruoli istronici e appariscenti, non viene mai sottolineata abbastanza la perfomance di questo attore oggi troppo dimenticato a favore di altri interpreti dell'actor's studio come Marlon Brando o Paul Newman, quando rispetto a costoro nulla ha da invidiare.
Mereghetti gli dà 2.5 stelline e su imdb ha solo una media del 7.5 vome voto, il problema è che risulta un film totalmente dimenticato e rimosso, sta a voi che leggerete questa mia recensione recuperarlo e riportarlo in vita.
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