Regia di Jane Campion vedi scheda film
Primo film di Jane Campion, subito presentato in concorso al festival di Cannes, ma accolto in maniera contrastante, con un netto rifiuto da parte della critica italiana che lo accusò di provocazione gratuita e sgradevolezza fin troppo esibita. Si tratta della vicenda di una giovane di nome Kay, che si può considerare la vera protagonista del film, una ragazza piuttosto introversa e con idee fisse e persecutorie come, ad esempio, quella che certi alberi possano influenzarla negativamente, che riesce a fidanzarsi con un uomo estremamente attraente di nome Louis, strappandolo a una collega di lavoro, ma il cui rapporto sentimentale verrà presto disturbato dalla sorella Dawn, soprannominata Sweetie, una ragazza mentalmente instabile che si intrufola a forza nel suo appartamento insieme a uno squilibrato e riprende a vessarla fino all'intervento dei genitori e a conseguenze che saranno gravi e impreviste. Si tratta di un dramma familiare narrato con un linguaggio iperrealista che ha qualcosa di Lynch, come osservato da qualcuno, e che segnalò al mondo del cinema l'arrivo di un nuovo talento, che avrebbe presto fatto molta strada. Il film è molto personale, certamente anticonvenzionale e poco conciliante, narrato con un linguaggio essenziale, a tratti tendente alla visionarietà e dove i conflitti relazionali fra le sorelle, di coppia e più in generale umani sono riassorbiti in una visione piuttosto pessimista della società. A mio parere un film d'esordio onesto, non compiaciuto come volevano i suoi detrattori, ma in parte limitato da scelte stilistiche un po' troppo bizzarre e in qualche momento fini a se stesse: il rigore di "Lezioni di piano" e di altre opere più mature ancora deve arrivare. Il titolo "Sweetie" sembra prediligere il personaggio omonimo, che però in termini di screen time ha un ruolo di fianco, anche se quello più ricco di risonanze emotive e di qualche voluto eccesso di scrittura: Genevieve Lemon ne esprime bene la natura selvaggia e irrazionale, di fronte a una Karen Colston ugualmente efficace nel caratterizzare la depressa e instabile Kay e Tom Lycos che gioca di sottrazione per il personaggio di Louis, forse il più "normale" della situazione, paziente fino a un certo punto, sul cui fascino fisico la Campion costruisce una valida alternativa all'instabilità dell'universo femminile. Il film è parzialmente riuscito ma importante per comprendere il percorso dell'autrice; se si considera anche il televisivo "Le due amiche", si tratta del suo secondo lungometraggio, ma il vero successo di critica arriverà a partire dal successivo "Un angelo alla mia tavola".
Voto 7/10
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