Regia di Paul Michael Glaser vedi scheda film
Oggi recensiamo un film che forse le nuove generazioni non conoscono, ovvero L’implacabile (The Running Man) con Arnold Schwarzenegger.
Diretto nientepopodimeno che da Paul Michael Glaser. Il quale, con L’implacabile, firmò il suo secondo lungometraggio da regista per il cinema, considerando il TV Movie Amazzoni e i I 5 della squadra d’assalto, e dopo essersi già cimentato dietro la macchina da presa per alcuni episodi della celeberrima serie Starsky & Hutch.
Sì, Paul Michael Glaser altri non è che l’ex interprete del mitico detective Starsky in tale suddetta serie televisiva che spopolò sul finire degli anni settanta e divenne un hit imperdibile per gli aficionado di questo rocambolesco cult televisivo degli spregiudicati e spericolati eighties.
L’implacabile è stato sceneggiato da Steven E. de souza, writer fra l’altro di Commando, Trappola di Cristallo, 48 ore e di Lara Croft: Tomb Raider con Angelina Jolie.
Il quale s’ispirò liberamente alla novella omonima (almeno nel titolo originale) di Stephen King. Da noi edita dalla Sperling & Kupfer, tradotta in L’uomo in fuga e firmata da King sotto lo pseudonimo, neanche tanto velato, di Richard Bachman.
Attingiamo da essa ed estrapoliamo la sinossi ufficiale:
Ben Richards decide di partecipare alle selezioni per L’Uomo in fuga, un sadico e famosissimo show televisivo in cui il protagonista, braccato dai cacciatori della Rete e da chiunque lo riconosca, guadagna cento dollari per ogni ora di sopravvivenza e, se è fortunato ed è ancora vivo allo scadere dei trenta giorni concessigli, un miliardo di dollari. Ben, che vuole quei soldi per curare la figlia malata, supera le selezioni...
Ecco, questa appunto la trama del libro.
Steven E. de souza però apportò cambiamenti significativi col suo script.
Siamo nel 2019 e gli Stati Uniti sono oramai vessati da un regime dittatoriale che ha monopolizzato le coscienze, ha censurato la cultura e, per frenare, smorzare i moti rivoltosi dei facinorosi ribelli underground, sta tentando con successo di distrarli e rabbonirli, mandando continuamente in onda alla tv un grottesco e brutale gioco ove vengono pescati dei carcerari detenuti, ognuno dei quali s’è macchiato dei più disparati crimini ignominiosi, scaraventandoli in un’arena gladiatoria in cui sono rispettivamente obbligati a fronteggiare dei serial killer di professione. I quali, a loro volta, hanno ricevuto la commutazione delle loro pene, asservendosi a questo speciale gioco pericoloso, il Running Man, per cui sono stati incaricati dell’investitura, addirittura quasi cavalleresca, di sterminare e trucidare gli sventurati prigionieri designati ad affrontarli.
Questi violenti bestioni, essendo dei provetti carnefici macellatori, l’hanno quasi sempre vinta nei riguardi dei loro ben più deboli, sfortunati sfidanti spauriti e inetti.
E il pubblico, guidato dal mostruoso e ghignante presentatore Damon Killian (Richard Dawson), s’infoia accaloratamente sguaiato, assistendo in diretta a tali barbari massacri scannatori. Eccitandosi ed esplodendo in terrificanti, paradossali risa e animaleschi, scriteriati, ilari tifi festaioli.
Psicologicamente lobotomizzato dall’atroce spettacolarità più primordialmente omicida, teleguidato immondamente da quest’assurdo trash truce, sanguinario e disumano. Un’oscena umanità recisa subdolamente, a livello di coscienza, dalla potenza catodica d’una televisione impietosamente cinica e orridamente mendace.
Al che, dopo svariati massacri, viene scelto Ben Richards (Arnold Schwarzenegger), accusato ingiustamente, attraverso un falso montaggio video, di aver sterminato una moltitudine di persone innocenti.
Parte il suo viaggio e la sua missione apparentemente impossibile.
Ben Richards vien sparato come un razzo, attraverso una slitta, nel covo e nel circo sotterraneo delle assassine nefandezze.
Riuscirà a sopravvivere e a resistere alle mille, estenuanti prove erculee che gli si pareranno davanti?
L’implacabile, un film rozzo, dal ritmo pazzesco, sostenuto dal corpo taurino e dalla maschera mono-espressiva di ghiaccio d’uno Schwarzenegger stolidamente perfetto nei panni dell’invincibile omone parimenti brutale ai villain. Ugualmente sardonico. Un uomo che beffardamente rende pan per focaccia ai suoi spietati aguzzini.
Che non fa niente per starci simpatico ma che c’induce comunque a tifare sfrenatamente per lui.
Perché, sì, non è un criminale e forse neppure uno stinco di santo ma di certo è più valoroso degli sfacciati bastardi che lo vogliono vedere morto ammazzato pur di soddisfare il depravato ludibrio immorale di una società impazzita.
L’implacabile è un fumettone manicheo, violentissimo, sempliciotto nei suoi assunti e nei suoi sviluppi ma, a suo modo, si lascia vedere amabilissimamente. È furiosamente una tremenda, pirotecnica sarabanda sconsiderata d’incredibili inammissibilità, anche cinematograficamente, così gigantesche da elevarlo e assurgere, altrettanto assurdamente, a imperdibile guilty pleasure irrinunciabile.
Un must, un “capolavoro” inaudito.
di Stefano Falotico
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