Regia di Irvin Kershner vedi scheda film
Per alcuni, compreso il sottoscritto, il migliore della saga. Titolo a parte, anche il doppiaggio ci risparmia certe assurdità del primo episodio, mentre tutto il cast sembra più maturo. Lucas non dirige, e l'opera beneficia anche della sua smarcatura dalla regia, con maggiori cure per i dettagli. Qui si compie il mito di Guerre stellari.
Un doppiaggio invadente, ma solo nel nome, una rivisitazione più gradevole
L’impero colpisce ancora. Più che altro, il doppiaggio un po’ supponente ed egocentrico ha colpito ancora. Empire strikes back: L’impero contrattacca. Al limite, pure Il contrattacco dell’impero, no? Ricordo perfettamente di non aver mai capito questi “sottotitoli”, quando ero bambino. Poi, con gli anni, li ho semplicemente dati per scontati. Non parliamo (qui) de Il ritorno dello jedi, poi…
Ci sembra, insomma, che il senso del sottotitolo sia andato completamente perduto: l’episodio precedente si concludeva con una vittoria dei ribelli, quindi la mossa successiva, secondo logica, sarebbe stata il contrattacco dell’impero. La versione italiana sembra francamente sciocca: l’impero non ha mai smesso di colpire, quindi…
Sicuramente il resto del doppiaggio però mette a segno dei punti: anzitutto nessuna assurda invenzione tipo la “guerra dei quoti” o lo “stellapilota” del precedente. Poi, abbiamo una pregevolissima interpretazione di Darth Vader, nel dialogo clou del film, che non anticiperemo, poiché ci piace pensare che possa esserci ancora qualcuno che non abbia visto la trilogia e legga questa recensione prima: a costui non vogliamo rovinare le sorprese.
Benchè filmtv abbia dedicato due schede differenti all’opera originale, e alla sua riedizione più recente, ci sentiamo qui di commentare entrambe, con un plauso alla seconda. Il primo e il terzo film della saga sono stati decisamente storpiati e letteralmente “invasi” da rivisitazioni del tutto fuori luogo: si va dalle ridicole aggiunte digitali di personaggi vistosamente fintissimi, nel primo, alla sostituzione postuma di Darth Vader, nell’ultimo. Per non parlare dell’aggiunta di Jabba digitale nel primo, che fa semplicemente cadere le braccia. Qui, per fortuna, gli interventi sono quasi impercettibili: alcune migliorie grafiche nella città delle nuvole, che peraltro a stento si possono percepire, una nuova versione olografica dell’imperatore, migliore, e poco altro.
Il migliore episodio?
Una cosa, però, l’ho sempre pensata: che questo fosse il migliore episodio dell’intera saga. Il primo ha l’indubbio merito di proiettarci in questo universo fantastico, ma, come apprenderemo poi dallo stesso ideatore/regista, non rappresenta che il 25% di ciò che avrebbe voluto inserirvi. E, infatti, la storia si dipana in modo alquanto sbrigativo, con questioni a malapena accennate e soluzioni molto raffazzonate, come per esempio la fine di Kenobi: a 48 anni di distanza possiamo dirlo? E’ una morte imbarazzante e stupida.
L’impero colpisce ancora parte subito in quarta, con un’ambientazione nuova: il pianeta Hoth (che si pronuncia come “caldo”, ma in realtà è congelato). Qui si svolgerà una delle battaglie più visivamente coinvolgenti dell’intera saga, con vari tipi di mezzi meccanici che si fronteggiano e una grande tensione, poiché, essendo l’inizio del film, non sappiamo proprio cosa aspettarci: abbiamo visto morire Kenobi nel primo, quindi sappiamo che può toccare a qualunque protagonista. Non conosciamo ancora la maggior parte degli eventi che condurranno verso il gran finale, quindi non possiamo neppure fare previsioni molto precise.
I protagonisti assumono le connotazioni definitive: Darth Vader, che nel film precedente sembrava un sottoposto dei capi militari, qui diviene il capo indiscusso, secondo soltanto all’imperatore. La storia d’amore tra Han Solo e Leia decolla, mentre Luke abbraccia finalmente il sentiero della forza. Le ambientazioni sono suggestive, in particolare la città delle nuvole.
Probabilmente è una personalissima opinione, ma, avendo amato particolarmente anche il secondo capitolo della seconda trilogia, credo che questo merito sia da ascrivere a due fattori principalmente: 1) l’esperienza del primo film ha consentito di mettere a punto dialoghi, personaggi, e anche effetti speciali e scenografie, oltre ad aver dato modo di raccogliere la ricezione del pubblico e della critica. 2) il fatto di non essere il capitolo conclusivo, ma neppure quello introduttivo, garantisce la massima libertà: non si deve pensare a un finale risolutivo, né partire da zero.
Quale che sia la ragione, comunque questo, per chi scrive, raggiunge la vetta della prima trilogia, e, quindi, forse quella assoluta: il terzo film (episodio VI) sarà più povero di idee e ambientazioni, e quasi tirato per le lunghe, mentre il primo era decisamente troppo compresso e sintetico. Qui abbiamo molta azione, molti colpi di scena, e la narrazione si accompagna ad ambientazioni varie e suggestive.
Che c’è lì dentro? Solo ciò che con te porterai.
I brevissimi accenni di Obi Wan nel primo film cedono il passo a una più corposa dissertazione dei concetti di forza e di lato oscuro.
Qui constatiamo che Guerre Stellari non è solo un carrozzone sgargiante e fracassone, ma c’è molto di più: il lato oscuro non è un concetto poi così astratto come credevamo. È la paura: tutto parte dalla paura. Quando vidi questa scena da bambino, per la prima volta, non la capii affatto. Mi sembrava una cosa senza senso: oggi vedo perfettamente come la base del male alberghi proprio nella paura. Attraverso questa siamo costantemente manipolati e indotti ad agire (o non agire) e subire: paura dei virus? Così accetterai un “vaccino”. Paura degli attentati? Così accetterai più controlli in aeroporto. Paura delle aggressioni? Così accetterai più telecamere (e controllo). Paura del cambiamento climatico? Così accetterai più restrizioni. Paura di morire? Così accetterai qualunque cosa.
In fondo i jedi sono sostanzialmente dei monaci di impronta orientale, dediti alla meditazione trascendentale e privi di paura, poiché consapevoli che la natura dell’universo non è limitata al visibile. L’estrema inconsapevolezza ci rende vulnerabili, impauriti, e, quindi, propensi al “lato oscuro”, che poi null’altro è se non la violenza e l’arbitrio che vengono generati dalla paura. Il jedi, insomma, non è né un pazzo né un visionario, ma semplicemente una persona consapevole che siamo tutti pervasi dal medesimo soffio vitale, o energia (o “forza”, appunto), e che, pertanto, non ha alcun senso ambire a dominare sugli altri.
L’uomo e la macchina
Un altro tema che qui si sviluppa attraverso una metafora palese è quello delle differenze, ma anche dei rischi nel rapporto, tra uomo e macchina.
Abbiamo, qui, una metafora anche troppo palese: tutto comincia con un arto amputato, e si perde un po’ di umanità, nella sua sostituzione con la parte artificiale. Sembra l’interrogativo, al contrario, visto ne L’uomo bicentenario: quante parti meccaniche possono essere inserite, in un uomo, prima di considerarlo una macchina. O viceversa?
Argomento sempre più (ahinoi) di attualità, con l’avanzata, improvvisa quanto inarrestabile, dell’intelligenza artificiale, e, quindi, della robotica. Al di là di tutte le proiezioni di umanità cui siamo inclini, e facilitati dalla riproduzione esteriore delle fattezze umanoidi, le entità cibernetiche non sono guidate da sentimenti, bensì da logica fredda e al di fuori della morale.
Come l’ufficiale scientifico (robot) di Alien, affascinato dalla creatura priva di scrupoli, così anche in Guerre Stellari osserviamo che la scomparsa dell’amore va di pari passo con la trasformazione verso l’entità tecnologica.
Una produzione meno travagliata
Lucas, ideatore e regista del primo episodio, qui si fa affiancare da un altro regista, pur non esimendosi dal girare personalmente alcune scene. Pare che la scelta sia stata dettata soprattutto dalla constatazione di essersi sentito soverchiato durante la realizzazione del film precedente: qui, smarcato dall’onere integrale della regia, ha forse potuto perfezionare dettagli, dialoghi e scenografie.
Ecco, quindi, che l’opera appare non soltanto più matura, ma anche più oculata, meno confusionaria e di gran lunga più coinvolgente.
Soprattutto, molte meno sono le cadute di stile della narrazione, che nel capostipite si sprecavano: dalla fine insensata di Obi Wan, alla scena del compattatore di rifiuti, a tutte le incredibili “coincidenze” che mettevano sui giusti binari il dipanarsi degli eventi.
Infine, il budget sicuramente più cospicuo, passato da 11 a 30 milioni di dollari, ha consentito anche di migliorare gli effetti speciali in modo tangibile.
Se Guerre stellari fosse rimasto un film singolo, magari a causa dell’insuccesso al botteghino, che peraltro diversi mostri sacri di Hollywood avevano profetizzato, sicuramente non sarebbe mai assurto al fenomeno culturale e sociale che è divenuto. In questo senso si può tranquillamente affermare che il secondo capitolo abbia non soltanto consolidato, ma determinato il passaggio da un’opera interessante e originale, non priva di lacune, a ciò che oggi conosciamo.
Dal primo incontro con Yoda, ai colpi di scena finali, dalla città delle nuvole all’imperatore, è proprio qui che si costruisce il mito, a nostro avviso. È qui che ancora tutto è possibile, e, perciò, ancora più avvincente di come era stato prima, e di come sarà dopo. Soprattutto, sappiamo ancora che la saga continuerà, quindi non c’è nemmeno la tristezza della fine, che, inevitabilmente, accompagna la visione dell’ultimo episodio. Quest’atmosfera più lieve e meno solenne contribuisce anche a rendere più benaccolte le battute di spirito, sparse qua e là.
Benchè sia impossibile giudicare un singolo film dell’intera saga, estraniandolo da tutti gli altri, possiamo serenamente affermare che questo abbia una marcia in più, oltre a consegnare per sempre alla storia i più importanti tormentoni e ricordi dell’intera trilogia, aggiungendo una dimensione drammatica a quella che fino ad ora era sembrata soprattutto una mitologia spaziale, e che qui assume nuovo spessore. Purtroppo, come ogni parabola, raggiunto l’apice non resta che la fatale caduta.
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