Regia di Larisa Shepitko vedi scheda film
Seconda guerra mondiale, l’Unione Sovietica è occupata dai tedeschi. Nelle campagne e nei boschi della Bielorussia l’Armata rossa con l’aiuto dei partigiani respinge gli attacchi dei nemici. Un gruppo di partigiani con al seguito donne e bambini ripara in un bosco, il cibo scarseggia e il gelo invernale è quasi insostenibile. Il volenteroso Rybak viene incaricato di raggiungere un cascinale per procurare viveri, lo accompagna l’artigliere Sotnikov. Durante il faticoso tragitto sulla neve, i due si conoscono: Sotnikov insegnava matematica, Rybak era un sottufficiale dell’Armata passato ai partigiani. Trovano una prima postazione deserta, poi una casa di un vecchio tacciato di essere un collaborazionista. Lo graziano e gli requisiscono una pecora. Sotnikov viene ferito da un piccolo commando di tedeschi che si muove su una slitta, teme di essere catturato ed è pronto a suicidarsi per evitarlo ma Rybak lo trascina al sicuro. Il compagno tenace e risoluto lo riscalda e riesce a trascinarlo in un casolare abitato da una donna e dai suoi tre figli. La donna inizialmente poco ospitale li fa riparare sulla soffitta poiché sopraggiungono due tedeschi e un russo loro collaboratore. Uno starnuto sarà fatale, la donna e i due partigiani vengono deportati in un vicino campo di prigionia. Portnov è l’inquirente della polizia (interpretato dal tarkovskijano Anatoly Solonitsin) incaricato di interrogarli per conto della Gestapo. Sotnikov non risponde alle sue domande, se non per scagionare la donna. Lui non intende tradire e Portnov lo fa torturare. Rybak glissa e riesce a farsi strappare la promessa di passare alla polizia. Nella cella i ruoli si ribaltano: ora è Sotnikov sicuro e deciso a farsi impiccare pur di non tradire gli ideali e i compagni; Rybak si rivela fragile e confuso convinto solo di voler vivere ancora. Vengono condannati all’impiccagione anche la donna che li aveva nascosti, il vecchio incontrato tempo prima e una ragazzina Basja, figlia del calzolaio del paese. Dopo un lungo confronto i due non cambiano le loro posizioni, l’indomani mattina Sotnikov urla ai nazisti di essere l’unico partigiano del gruppo e di aver ucciso un loro uomo. Tutto inutile, l’infido Portnov non tiene conto della confessione. Per tutta risposta Sotnikov gli dice a muso duro le sue generalità e i suoi ideali, non ultima la patria. Rybak, invece, si salva dalla condanna perché decide di passare alla polizia. L’artigliere reagisce colpendo con un pugno l’amico vigliacco. Eseguita la condanna l’apostata Rybak rimarrà solo con i suoi rimorsi. C’è una scena che racchiude l’essenza de L’ASCESA, capolavoro definitivo di Larisa Shepitko. L’artigliere Sotnikov poco prima di sentire la corda stringergli il collo e spezzargli la vita, individua tra la folla sparuta (troppo poca per i boia nazisti) la figura di un bambino stretto nel suo cappotto e cappellino antigelo. I due volti si specchiano, gli sguardi si riflettono come se si conoscessero. Sotnikov è solo di fronte alla morte, non ha affetti intorno a sé, l’amico Rybak ha scelto di vivere e quindi di tradire, lo regge e lo abbandona. Ed ecco che con quel bambino ci sono alcuni secondi interminabili di reciprocità, un accenno di sorriso d’intesa tra i due mascherato dalle lacrime del piccolo alleviano l’ultimo respiro, l’ultimo istante del partigiano sulla terra. Imprescindibili nell’occasione le musiche di Alfred Shnitke. Ricordo che quando vidi questa scena, decontestualizzata dal film dagli schermi di FUORI ORARIO, rimasi di ghiaccio e percorso da brividi. Anche all’ennesima visione un sussulto è obbligatorio. Campi lunghi, primi piani intensissimi su volti segnati dal freddo e dalla guerra, affaticati, affilati e stremati che comunicano stati d’animo autentici. Non ci fa lo stesso effetto (perché colpevole) lo sguardo terrorizzato di Rybak quando alla fine si trova prigioniero della sua scelta, del suo tradimento, impossibilitato a scappare (lui che ha sempre sognato di farlo in altre circostanze) dal campo e da se stesso. Il marito della Shepitko, Elem Klimov autore del bel documentario LARISA e di AGONIA e VA E VEDI, non raggiungerà mai del tutto i vertici della moglie o meglio non dimostrerà di avere almeno la levità mista all’intensità di quel tocco (di grazia) femminile. La musicalità e la misteriosa bellezza della lingua russa fanno il resto.
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