Regia di Larisa Shepitko vedi scheda film
La cifra estetica saliente di questa misconosciuta (e sopravvalutata) opera della compianta L. Shepitko, tipico prodotto d'autore dell'URSS ai tempi del "Ricongelamento", sta nell'utilizzo di una fotografia abbagliante. Le luci, tanto accecanti quanto estatici sono gli sguardi dei protagonisti, isolano i volti da un contesto talmente ostico da stimolare fantasie evasive. La regista regala attimi di sospensione, time-out dall'inferno di neve, attraverso sofferti primi piani. La necessità di una fuga spirituale scaturisce dall'orrore di una guerra che corrompe gli animi, oltre a martoriare i corpi. Dallo spaesamento di esterni bianchissimi e gelidi si passa all'opprimente buio di ingiuste galere. La Shepitko tuttavia ha avuto la "colpa" di insistere troppo su questo stato d'animo, di battere unicamente su questo tasto, facendo emergere solo nel palpitante e disperato finale la tematica-chiave del tradimento. Da segnalare, in un film troppo spesso monotono e ripetitivo, la bellissima e toccante sequenza della deportazione, con ellissi, soggettive, tagli bruschi e sottintesi come nella miglior nouvelle vague.
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