Regia di Larisa Shepitko vedi scheda film
Dopo aver visto due film del sottovalutato Elem Klimov sono riuscito a recuperare anche questo "L'ascesa", ultimo film girato prima della sua morte in un incidente d'auto dalla moglie di Klimov, Larisa Shepitko. "L'ascesa" è decisamente poco noto da noi, ma all'epoca vinse comunque un Orso d'oro al festival di Berlino e rimane pellicola importante anche per i legami che intrattiene con il successivo e ben più famoso "Và e vedi" di Klimov.
Si tratta di una pellicola ambientata in Bielorussia durante la Seconda guerra mondiale, in cui due partigiani devono compiere una missione considerata pericolosa per la loro unità, ma dopo uno scontro a fuoco con i tedeschi sono costretti a rifugiarsi in casa di una donna il cui marito è stato ucciso. Lì troveranno un rifugio provvisorio prima di essere scoperti e catturati. Si tratta di un film di guerra in cui però le convenzioni del genere vengono disattese e la regista ha modo di concentrarsi soprattutto sui personaggi, in particolare i due protagonisti, sulle loro motivazioni anche a livello psicologico e, nell'atroce parte finale, sulla forza degli ideali e la vergogna del tradimento, il tutto con riferimenti religiosi che colpiscono lo spettatore occidentale, data la realizzazione in Unione sovietica prima degli anni della Perestrojka.
Sono d'accordo con i molti che hanno elogiato il film, poiché si tratta di un'opera di inconsueta forza soprattutto a livello di regia, con un linguaggio visivo ricco e variegato, una fotografia in bianco e nero raffinata ma mai estetizzante, in particolare nelle scene più drammatiche, risolte in maniera sobria e senza inutili sottolineature calligrafiche, anche se colpisce la sequenza "immaginaria" posta verso la fine, decisamente inconsueta in un'opera così austera e tragica. La riflessione della regista sul martirio dei partigiani e dei civili di fronte alla ferocia nazista, nonché sulle colpe dei collaborazionisti, e' espressa in immagini di un nitore accecante, figurativamente affascinanti, ma si tratta di una riflessione dolorosa e trattenuta, dove l'indignazione non è mai piegata a fini bassamente spettacolari. Forse a destare qualche perplessità, almeno per una parte degli spettatori, le volute analogie del calvario del protagonista Sotnikov con quello del Cristo, ma a mio parere si tratta di un nesso che la regista avverte in maniera sincera, al livello di una fede che la Shepitko propone come parte dei valori fondanti dell'animo russo, un po' alla maniera di Tarkovskij, di cui qui abbiamo nel ruolo dell'infame collaborazionista Portnov l'attore feticcio Anatoli Solonitsin. Nel cast si apprezza sicuramente Solonitsin, ma anche e soprattutto i due protagonisti, Boris Plotnikov che era all'esordio sul grande schermo e ha un volto febbrilmente espressivo, e Vladimir Gostyukhin che rende benissimo i dilemmi morali di Rybak e poi il senso di colpa opprimente nelle ultime sequenze. Un film eccellente, assolutamente da recuperare.
Voto 9/10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta