Regia di Nico D'Alessandria vedi scheda film
E’ il vagare di Gerry senza una meta, senza un’apparente direzione, se non quella invisibile agli altri e che solo lui conosce, che ci trascina in uno stato emotivo e psichico al di là della “normalità”, è lo sperimentare, per chi non lo avesse mai fatto, cosa significhi vivere senza opporsi a nulla, senza nascondersi dietro a un ruolo, senza avere un lavoro, una famiglia, senza possedere niente di stabile e per questo essere in totale caduta libera. Ecco, nell’Imperatore di Roma, si fa esperienza della vita di un disadatto, di uno che è assolutamente fuori da ogni regola e che riempie le proprie giornate girovagando e seguendo il flusso dei propri pensieri, assurdi, senza apparente logica, sinceri, diversi. In questo peregrinare, l’alcol e altre sostanze stupefacenti, trovate più per caso che per necessità, aumentano il senso di perfetto solipsismo nel quale vive Gerry e lo trasformano in una psicotica poetica esistenzialista, ci pensa poi il regista a pedinare quest’uomo, a mostracelo con occhio neorealista filtrato da un’estetica espressionista, in un bianco e nero in cui la realtà e la sua rielaborazione in luci e ombre, linee e volumi, è sempre in bilico sotto i piedi del protagonista, che come un funambolo emarginato dal circo delle convenienze sociali, si aggira fra le vie di Roma, centrali come periferiche, in giornate torride, in cui non c’è nulla da fare, se non andare avanti e avanti e avanti.
C’è la presenza costante di una possibile sconfitta o del rischio di smarrirsi definitivamente fra le immagini di questa pellicola, l’angosciosa presa di coscienza di cosa sia veramente il trovarsi dall’altra parte dello specchio, in quel luogo pericoloso in cui la follia diventa il nuovo modo di pensare e di quello che credevamo giusto o immutabile ci resta solo un pallido ricordo. Ci vuole coraggio a vivere in questo modo, molto di più di quanti credano. Gerry affronta l’orrore di un mondo indifferente alla diversità in maniera quasi eroica, un imperatore vestito di stracci, inquieto superstite pasoliniano (là dove Accattone moriva con la moto, lui si rialza e prosegue) fra i resti di un eterno degrado urbano e morale, il tempo è impazzito, rimangono schegge, frantumi, pezzi sparsi ovunque e il cinema come sguardo altro, dove anche i perdenti possiedono ancora una dignità, prima di essere calpestati e rinchiusi in quei luoghi dove loro voce diventi solo l’eco di una straziante agonia.
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