Regia di Florestano Vancini vedi scheda film
Un gran bel film, che meriterebbe ben altra considerazione. Vancini si mostra all’altezza di un obiettivo assai ambizioso: descrivere 40 anni circa di storia tra fine ‘800 e inizio ‘900, estremamente controversi per l’Italia, partendo dall’occhio degli umili. Ho visto quest’opera nella versione più lunga, quella televisiva dell’84. 3 ore che non annoiano mai, nonostante il realismo che le contraddistingua possa risultare poco entusiasmante, per alcuni. Ma si tratterebbe di un giudizio superficiale: il film è splendido per due fattori: 1) le emozioni umane e 2) la fotografia. Quest’ultima è quella della meravigliosa campagna padana, così poco apprezzata ancora oggi, che segna soprattutto il paesaggio emiliano, qui quello ferrarese, che è poi la provincia dove il regista è cresciuto.
La tematica storica è ben intessuta all’interno delle vicende della quotidianità dei personaggi, dei “semplici” per eccellenza. Evidentemente dev’essere stato ottimo lo scavo psicologico eseguito da Nerino Rossi, dal cui omonimo romanzo è stato tratto questo prodotto per la tv, notevole se comparato ad altri prodotti per il piccolo schermo.
Qui la storia, e dunque le vicende politiche ed economiche, è filtrata attraverso le ricadute che queste hanno sulla vita di tutti. Questi “tutti” possono essere assai simili in tutte le milioni di vite coinvolte. Perciò un’opera come questa è esemplare, proprio nel suo Realismo, con la R maiuscola. Si vede l’appassionata lotta sindacale di fine ’800: quella aurea, pur con tutti i suoi limiti, del socialismo nelle sue sacrosante lotte di contestazione contro lo sfruttamento. Si vede la tragedia della guerra, solo subita dalla gente comune, meno dai pochi ricchi che ci hanno guadagnato. Si vede sullo sfondo il fascismo, che ha coronato il sogno di quei pochi ricchi, di una società ingiusta. Ma tutti questi episodi, pur così rilevanti, servono in realtà solo da cornice, per il nucleo autentico: la descrizione, realistica, della vota dei nostri trisnonni e bisnonni. Una vita misera, fatta di cose semplici, con ansia di verità e di giustizia più di quanta ce ne sia oggi; un’esistenza angusta, anche grossolana, fatta di pochissime occasioni, ripetitiva, colma di ignoranza e superstizione, dove i proverbi illusoriamente colmano un vuoto di conoscenza. Questo mondo arcaico è molto vicino, geograficamente e cronologicamente, a quello descritto da Pascoli, che lo ha trasfigurato a un livello sommo; ma anche a quello di Verga, per la durezza della vita quotidiana, acuita dalle ingiustizie e dalle precarietà economiche.
Meravigliosa resta la grammatica delle emozioni, per come viene descritta nel silenzio, nel pudore, nella spontaneità. Specialmente nelle situazioni d’amore (indimenticabile la donna, ormai quarantenne, che si ritrae piangendo alla forse ultima occasione di un amore che nella sua vita non ha ancora mai vissuto, offerta da un disertore siciliano pieno di ingenuità ma anche di sensibilità); in quelle della morte (la bambina annegata, il figlio morte al fronte); in quelle della vita collettiva, del lavoro come del tempo libero (all’osteria…) come del sindacato; in quella della famiglia (memorabile la scena dove la festa si fa mangiando l'aringa e quasi in silenzio, simbolo di un'austerità quasi senza alternative), con i forti affetti, talvolta repressi, talvolta contrastati, spesso chiari.
Grande la rilevanza delle figure femminili, con il loro calore tipicamente emiliano. Ottimo Ghini, come tutta la compagnia recitante.
Questo film non c’è in dvd, e si può vedere solo su youtube, in una versione pessima, che però è meglio che niente. Non ha l’ampiezza di Novecento di Bertolucci, di 8 anni prima, che sembra ricalcare in gran parte. Ma ha una grande finezza umana, e un grande valore storico: di testimonianza della vita quotidiana delle generazioni fino un secolo fa, che forse non era diversa da quella di tanti secoli prima.
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