Regia di Alkinos Tsilimidos vedi scheda film
Un architetto di Melbourne con moglie e figli e una vita apparentemente perfetta soffre in realtà di una profonda crisi motivazionale. La lite con il collega che lo vuole estromettere da un progetto edilizio è la goccia che fa traboccare il vaso. L’occasione, insieme, per lasciarsi alle spalle la sua “vecchia” identità e ricominciare una nuova esistenza: lascia la famiglia, si rende irrintracciabile, e trova ospitalità, consigli e calore da una serie di personaggi ai margini, che lo aiutano a capire chi è e gli insegnano ad amare: un gay marchettaro, una ex tossica, un barbone e la sua compagna, un ragazzino graffitaro disadattato. Ricognizione con ambizioni filosofiche sui temi della maschera e dell’identità, affidata per lo più alla versatilità di un camaleonte come Colin Friels, uno dei più dotati e meno utilizzati attori australiani (anche se nel cast spicca soprattutto l’esperto, leggendario Barry Otto, un homeless che dà i brividi). La regia soffre di una certa ripetitività e la sceneggiatura tradisce una certa letterarietà, ma il delicatissimo gioco di equilibrio tra pazzia e legittimo disorientamento di una vita difficile è affrontato in modo originale. Peccato solo che il doppiaggio italiano appiattisca tutto o quasi, come in una telenovela brasiliana anni ‘80.
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