Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film
Un western di frontiera, tra il glorioso ma ingessato passato americano, e il sanguinolento futuro italico.
Siamo proprio ai primissimi albori del movimento western nella penisola, tanto che ancora non è filologicamente corretto parlare di spaghetti western. Il Minnesota Clay di Corbucci si appoggia per buona parte alla tradizione classica americana, pur introducendo qualche elemento di novità che poi ritroveremo pienamente delineato nel seminale Django. Per intanto, non è il solito revenge movie che siamo abituati a vedere in tutte le salse nella nostra cinematografia: Clay è un uomo che ha un segreto inconfessabile, è vero, e fugge dai lavori forzati per ristabilire la verità sulla sua innocenza. Ma è proprio la giustizia il suo fine ultimo: mentre nella stragrande maggioranza dei casi, nel western all'italiana, l'unica forma di giustizia è la vendetta, la più cruenta possibile, qua l'unica forma di vendetta è la giustizia. E' guidato da principi di rettitudine, Clay, e non stonerebbe affatto in un film di Ford. E' l'universo in cui muove, che è un po' diverso: il tema delle due bande rivali, banditi messicani e gringos americani, che si contendono il possesso di un territorio, sa molto di djanghesco (e anche leoniano: Per un pugno di dollari, che ha giochi di potere del tutto simili, è coetaneo di Minnesota). Non si lesina sul sangue, sull'azione, sulla doppiezza dei personaggi (anche femminili!), che giocano su più tavoli in contemporanea. Non si ha paura di mostrare l'eroe-antieroe in condizioni di estrema debolezza: si chiude l'era dei cavalieri senza macchia, senza paura e senza un graffio, e comincia l'epoca di Django con le dita spappolate, di Eastwood pestato a sangue e di Minnesota Clay quasi cieco. L'eroe è un personaggio tale e quale agli altri, non è un primus inter pares; ed è talmente uguale agli altri, che molto presto scomparirà del tutto.
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