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Latitudine zero

Regia di Ishirô Honda vedi scheda film

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La recensione su Latitudine zero

di OGM
6 stelle

Film folle e molto kitsch, che è vistosamente "low budget" e se ne vanta, e pare voler dire la parola definitiva sul genere fantastico. Variopinti personaggi con tute in lurex da "Star Trek" si aggirano spaesati in un punto del globo terracqueo che è fuori dalla geografia del mondo, laddove l'equatore interseca la linea del cambio di data. Lì si trova un'enclave sottomarina in cui gli opposti si toccano, sogno ed incubo convivono, e si spazia dall'empireo agli inferi con una breve traversata in sommergibile. Sullo sfondo della guerra fredda si svolge un'allucinante lotta tra la scienza buona, che cura i malati e protegge dalle radiazioni, e quella cattiva, che crea terrificanti incroci tra le specie animali con trapianti d'organi ed innesti anatomici. Quello di Honda sembra ormai un cinema stanco, che è giunto al capolinea e si rifugia nell'autoderisione, forse per infliggere un ultimo sferzante colpo di coda: a morte i vampiri, i mostri e gli zombie, che qui sono ridotti a fantocci di peluche, e al bando gli effetti speciali, sostituiti da travestimenti e trucchi di tipo teatrale. Se il grande schermo deve appartenere ai supereroi e ai valorosi e carismatici comandanti McKenzie, ebbene, allora così sia: date loro guanti laser e cinture a reazione, il dono dell'ubiquità e l'eterna giovinezza. Che i nuovi miti siano ridicoli come vogliono essere, con luminari della neurochirurgia in minigonna e visetto alla Sandra Dee, e donne malvagie sulla cinquantina a metà strada tra Morticia Addams e Crudelia De Mon. Che il paradiso sia un eldorado sotto vetro in cui i diamanti si usano come limette, e l'inferno una rupe con un fiume acido presidiato da topi giganti. Il film davvero sembra dire: se del cinema, come della scienza, l'umanità può fare scempio a proprio danno, meglio darle in pasto questo trash, e rimanere con la mente altrove. Sarebbe bello se il messaggio fosse proprio di siffatto tenore. Purtroppo, però, quest'opera appare più arrendevole che polemica: ha lasciato che si infiltrassero elementi sparsi delle nuove mode cinematografiche, senza, in fin dei conti, saper bene che farsene.

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