Regia di Jerry Lewis vedi scheda film
"Il film che state per vedere non è vero, sono stati cambiati soltanto i nomi, visto che gli avvocati erano molto preoccupati".
[Didascalia d'apertura del film]
Benvenuti a Milltown, "una piccola comunità molto nervosa", come annuncia un cartello stradale e come subito l'incipit del film evidenzia spassosamente. Herbert H. Heebert (Jerry Lewis), scottato da una delusione amorosa nel giorno del diploma, che gli causa un'assoluta idiosincrasia verso il sesso femminile, lascia la sua cittadina di provincia e si trasferisce a Hollywood in cerca di fortuna: attirato da un annuncio ("cercasi scapolo"), trova lavoro, completamente ignaro, come assistente tuttofare nel pensionato per aspiranti attrici gestito dalla signora Wellenmellon (Helen Traubel). La convivenza sarà molto turbolenta, ma Herbert, grazie all'aiuto della bella Fay (Pat Stanley), riuscirà a sconfiggere la sua intolleranza per le donne.
Seconda, spumeggiante regia di Jerry Lewis dopo il felice esordio dietro la macchina da presa di Ragazzo tuttofare, scritto dallo stesso Lewis insieme al fidato Bill Richmond sulla base di uno script originale firmato da Mel Brooks (che poi pretese di non apparire nei credits perchè ben poco del suo lavoro era stato mantenuto nella sceneggiatura definitiva): per l'amabile delirio della vicenda e per la raffinatezza stilistica che lo percorre, L'idolo delle donne si insedia di diritto ai vertici della produzione artistica del suo autore. Un film dal ritmo travolgente, una girandola di trovate scoppiettanti e divertimento sfrenato, in cui Lewis piega al proprio volere e devasta ogni spazio o barriera che si azzardi minimamente a reprimerne l'inarrestabile carica distruttrice: la macchina da presa, affidata ad una gru, segue ed accompagna il corpo di Lewis attraversando i muri, le pareti, i soffitti e i pavimenti delle scenografie della pensione (curate da Ross Bellah e Hal Pereira), strutturata come una mastodontica casa di bambole, e svelando la finzione del set cinematografico. Ma il film non è soltanto un magnifico ed esemplare tripudio di virtuosismi tecnici: L'idolo delle donne è, soprattutto, una commedia spumeggiante, sospesa suggestivamente tra esilaranti ed apocalittici sconquassi e le consuete, deliziose movenze caracollanti della comicità del suo autore, unite a quella vena surreale, come nel caso dell'affascinante sequenza della stanza bianca ("Però che scherzi può fare l'immaginazione"), di cui Lewis si serve per "oltrepassare" il genere e ridefinirne le coordinate stilistiche, incorniciata dalla smagliante fotografia di W. Wallace Kelley (che proprio con L'idolo delle donne avvierà una proficua collaborazione con Lewis) e supportata magistralmente, oltre che dalla vorticosa esibizione del suo protagonista, da un cast impeccabile e spiritato, a partire da una scatenata Kathleen Freeman e fino ad arrivare a George Raft e Buddy Lester (nei panni di se stessi). Gag irresistibili: Jerry Lewis alle prese con il letto a castello, o con la prova-microfono con il fonico della troupe televisiva, la consegna della posta alle giovani pensionanti, le devastanti pulizie giornaliere, il maledetto bottone della manica della giacca di Jerry che si impiglia nel vestito della signora Wellenmellon, gli esercizi di Lewis alla tromba, il cucciolo "Pupo", il ringraziamento finale alle forze armate degli Stati Uniti ("Ma solo se vengono a vedere il film"). Ah, certo, anche la mamma di Jerry...
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