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Johnny Yuma

Regia di Romolo Guerrieri vedi scheda film

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La recensione su Johnny Yuma

di scapigliato
8 stelle

Dopo Johnny Oro arriva Johnny Yuma sempre con il volto simpatico di Mark Damon. Romolo Guerrieri alla regia sostiene di aver fatto di meglio, eppure questo film conserva ancora oggi lo status di cult tra gli appassionati. Il motivo determinante è la funzionalità sia di Damon attore, sempre perfetto in scena con un fisico del ruolo sempre azzeccato, e la funzionalità di determinate scene, per lo più crudeli, che hanno distinto il film fin dalla sua uscita nelle deserte sale cinematografiche della Roma di Ferragosto, riempiendole. Il plot, scritto anche da Fernando Di Leo, segue più i passi del giallo, non ad enigma perché conosciamo subito gli assassini, bensì del detective-movie più lineare, erede più dello schema narrativo americano che inglese. Giacché non è importante chi è l’assassino, ma come poterlo prendere e tutto ciò che di avventuroso implica questa indagine. Ecco che trasportata sulla frontiera, quest’avventura può esser ben declinata anche allo schema western, nonostante qualche censore borghese – tra cui il Centro Cattolico Cinematografico dell’epoca – sia di parere completamente diverso asserendo che il film “sconvolge il tradizionale quadro morale del mito western e risulta una compiacenza del tutto negativa dello scatenarsi di passioni disumane”. Innanzitutto, chi all’epoca scrisse queste povere righe ben poco sapeva di cinema western, e nel caso ne sapeva qualcosa era comunque un’infarinatura elementare che non gli permetteva di distinguere tra i film di propaganda conservatrice e i grandi film western di tutt’altro respiro. Secondo, sprecando l’ennessima occasione a restare zitto, il censore cattolico attacca un registro ed uno stile sì violenti, ma mai gratuiti – e se anche lo fossero? Non credo all’esistenza della violenza gratuita: se nasce, un motivo c’è. Recondito, ma c’è. La violenza e la crudeltà, che dopotutto erano anche la committenza dell’epoca e volendo o non volendo registi e poduttori a quello si indirizzavano, sono uno dei marchi autoriali del nostro western all’italiana proprio perché l’età dell’innocenza era finita e andava protestata. Nel film, la coppia omicida dei due fratelli forse pure incestuosi, Rosalba Neri e Luigi Vannucchi, uccide il marito di lei per ereditare tutta la proprietà – il Cortijo El Romeral, una delle cortijadas simboliche del Valle del Mónsul in quel del Cabo de Gata – e si macchia di altrettante ignominie pur di salvaguardare la propria libido economica che forse suggerisce la sublimazione di una repressa libido incestuosa. Dei due si distingue soprattutto l’attore teatrale Vannucchi che, decisamente sopra le righe, gigioneggia un crudele e finanche psicopatico delinquente che uccide a sangue freddo chiunque lo ostacoli. Celebre resta per esempio la sua insolita corrida con Mark Damon nei panni del toro, e lui come fanatico picador. Ma ancora più indelebile è l’assurda, schizoide e rabbiosa violenza che sfoga sul piccolo Pepe, un povero peón che aiuta il nostro Johnny Yuma a nascondersi. I calci e i pugni che scarica sul corpicino della vittima hanno indignato l’osservatore cattolico, ma non alla stessa stregua lo studioso del genere che sa leggere le immagini e sa contestualizzarle. La cieca e furiosa violenza scespiriana del Don Pedro di Luigi Vannucchi, fa il paio con la manipolazione tutta femminile di Rosalba Neri, che invece di sporcarsi le mani è molto più “borghese” nella sua violenza intimidatoria. Come una vecchia mantide sa come giocarsi l’uomo, e per lui ha sempre in serbo il miglior veleno da somministrare. Cadono nelle sue grinfie sia l’ignaro amante messicano che aiuta la coppia nel delitto del vecchio marito di lei, sia il Johnny Yuma che fa il furbastro ma trova pane per i suoi denti, fino al suo vecchio amante di un tempo ora prezzolato killer professionista che cadrà nuovamente nelle malie della donna che ama e odia.

Incasellando il film di Guerrieri all’interno del genere vediamo che non può che avere una posizione di spicco. Certi lo inserirebbero anche tra i migliori 10 film western nostrani. Un poco esageratamente, credo. Infatti, lo sviluppo narrativo è abbastanza ferraginoso in molti snodi, soprattutto i raccordi informativi, e se lo scenario naturale del deserto almeriense attenua l’inconsistenza di alcune scene, non si può evitare di notare una discontinuità dei toni e della direzione registica. Sicuramente le scene di violenza sono di forte impatto, soprattutto il pestaggio del bambino, fatto con camera a mano e in prospettiva della vittima. Ma su tutte le modulazioni scelte spicca la resa dei conti finale alla città morta, ovvero il reale villaggio di case bianche di Polopos ai piedi della Sierra Alhamilla. Qui, pronti a duellare tra loro, Mark Damon e Lawrence Dobkin si scontrano invece con gli uomini di Luigi Vannucchi in uno scenario assolato e deserto che rende onore al registro più tipico e determinante del nostro genere.

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