Regia di Peter Yates vedi scheda film
Una donna si sveglia nell’appartamento dove ha passato la notte: comincia a curiosare in giro, ripensa all’incontro della sera prima con l’uomo che l’ha timidamente abbordata in un bar. Poi i due fanno colazione e vengono fuori le prime diffidenze reciproche: si sono lasciati andare, ma in generale è bene non fidarsi troppo di gente sconosciuta. Lo spettatore ascolta i loro pensieri, così in contrasto con le parole e con le azioni. Numerosi flashback ricostruiscono pezzo a pezzo la loro passata vita amorosa: lei aveva una relazione con un uomo sposato, lui con una donna invadente. Un fermo di immagine blocca per vari secondi una gaffe di lei, “questo semmai lo mangiamo stasera”, che rivela la sua intenzione di installarsi lì. C’è anche una scena in cui lei immagina come avrebbe trascorso il weekend senza quell’incontro casuale e non preventivato. Insomma Yates, regista bravino ma senza grandi voli, firma un piccolo capolavoro reinventando dalle fondamenta il trito schema “boy meets girl”, aggiornandolo alla vita quotidiana dei tardi anni ’60, fra rivoluzione sessuale e impacci esistenziali, e regalando al film una profondità sorprendente per una commedia sentimentale. Hoffman e la Farrow, con le loro facce normali, interpretano in modo perfettamente credibile due personaggi divisi tra voglia di abbandonarsi e paura di farlo, desiderio di dire “resta” e orgoglio di non dirlo: lui si trovava nella fase migliore della sua carriera; per lei, che non mi ha mai impressionato, si tratta probabilmente della migliore interpretazione di sempre, Allen compreso. Alla fine della giornata i due, dopo aver rischiato di perdersi, si ritrovano e finalmente si presentano (avevano dimenticato di dirsi i nomi!): “piacere, John”, “piacere, Mary”. Poi vanno a letto, come marito e moglie.
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