Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film
Tornato al cinema dopo otto anni e un Marco Polo televisivo di successo planetario, Giuliano Montaldo si affida ad un soggetto originale del grande divulgatore Piero Angela dedicato alla minaccia nucleare nell’occidente. Un illustre professore, appoggiato finanziariamente da una magnate tedesca, costruisce un bunker antiatomico e lo fa testare a quindici persone di varie nazionalità. L’esperimento procede tra alti e bassi, finché non prende una piega tragica.
Montaldo ha dalla sua almeno tre elementi non indifferenti: ambizione, che nel povero cinema italiano dagli anni ottanta in poi è a volte una chimera e a volte una colpa da espiare; tensione, che nel film viene tenuta abbastanza alta per ragioni quasi ovvie (la paura, l’ansia, il conto alla rovescia); attori, divisi tra esperti professionisti (Lancaster a tratti inquietante, Gazzara, Josephson, Reid, Bucci) e corpi esteticamente perfetti e artisticamente mediocri (Occhipinti, Araya, Clair).
Ma questo psicodramma internazionale avrebbe avuto bisogno di meno calcolo, di meno dialoghi didascalici, di meno meccanicità nella seconda parte. Kammerspiel claustrofobico che ha i suoi talloni d’Achille nei filoni sentimentali (ovvio Occhipinti-Clair; telefonato Gazzara-Nelligan; improbabile Araya-Pea) e in alcuni particolari riguardante il funzionamento del bunker di non facilissima comprensione, nonostante la chiarezza didattica che caratterizza l’intera pellicola. E soprattutto: ma alla fine degli anni ottanta è ancora credibile la psicosi collettiva per la bomba atomica (tipicamente annicinquanta), specie in un’epoca in cui ci si preoccupa più della profezia dei Maya?
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