Regia di Martin Ritt vedi scheda film
Bellissimo questo film malinconico e meditativo su una famiglia piena di ferite e di lutti del profondo Texas. Martin Ritt dirige con stile fluido e preciso, senza fretta eppure non lentamente in senso proprio, e si serve anche di una buona sceneggiatura e di ottimi attori. La loro recitazione è al servizio della loro definizione psicologica: ognuno di essi è un personaggio realistico e sfaccettato, le cui caratteristiche emergono a poco a poco nel corso del film. Ciò che accomuna tutti è forse la sofferenza, compreso il protagonista burbero e spaccone interpretato da un grande Paul Newman. Recita la parte del libero e del libertino, che fa ciò che vuole e quindi sarebbe felice: in realtà è forse il più triste di tutti, solo che per il suo grande orgoglio non vuole ammetterlo, e infatti affoga dolore e tremendi sensi di colpa nell'alcol. Il suo personaggio è complesso, come diviso a metà tra bontà (forse la parte minore) ed egoismo, il quale egoismo raggiunge a volte la sfacciataggine. Si pensi al suo proposito di far passare il padre per rimbambito per farsi assegnare dal giudice la gestione della sua tenuta. Proprio il contrastato rapporto tra Hud è il padre è al centro del film. Parte del loro passato viene raccontato a poco a poco nei dialoghi, ma forse una parte maggiore viene solo accennata e quasi lasciata all'immaginazione dello spettatore.
Lungi dall'essere un'apologia del ribellismo giovanile, il film dà anzi di esso nel protagonista un'immagine sterile e nociva. In poche parole, infatti, tutti coloro che vivono accanto a Hud ne ricevono problemi e guai.
Di azione in senso proprio ce n'è poca, e forse per questo il film scontenta taluni. Di scavo psicologico, di sentimenti, di sofferenze, di frustrazioni però ce n'è parecchio, sì da rendere il film molto piacevole e interessante per gli spettatori come me. Bello il bianco e nero, ben sfruttato il panavision, e molto intonate al racconto le malinconiche musiche di Elmer Bernstein. Quasi quasi un grande film.
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