Regia di Martin Ritt vedi scheda film
Hud è il figlio degenere di un ranchero texano, cinico, indifferente, amorale.
Beve, fa a botte, dà la caccia alle donne sposate, tratta male tutti, è uno spostato senza una causa.
Tutto il contrario del vecchio padre, onesto, semplice, legato alla terra e rocciosamente attaccato al senso del dovere, quel che fa di un uomo qualunque un uomo di parola.
In mezzo, il figlio orfano del fratello di Hud, morto in un incidente, indeciso tra la solidità della tradizione e la seduzione della velocità fine a se stessa.
Hud è uno di quei film troppo scritti e troppo recitati.
Il protagonista è geometricamente opposto al padre.
La contrapposizione è schematica e, se voglio qualcosa di simile sul genere "Edipo", molto meglio La gatta sul tetto che scotta (o, andando più indietro, L'uomo di Laramie).
In questo contesto già fin troppo formalmente definito e d'altra parte artificioso, l'overacting di Newman, pur lodato da molti, rende il tutto per me ancor meno plausibile.
Meglio allora i personaggi minori, il nipote combattuto sull'esempio da seguire e, soprattutto, la governante.
Donna non più giovane ma non abbastanza vecchia da aver abbandonato la speranza, indurita dalle sfortune della sua vita, è un vero personaggio di frontiera e l'unico con una vera umanità.
Visivamente molto bello (e ci mancherebbe, con J. Wong Howe alla fotografia), ma complessivamente mi ha deluso. Anche sul piano narrativo, per dire, la spiegazione del comportamento di Hud è buttata lì, come se non fosse accettabile un personaggio negativo di per sè, ma ci fosse bisogno di una spiegazione, per quanto labile.
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