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Hud il selvaggio

Regia di Martin Ritt vedi scheda film

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La recensione su Hud il selvaggio

di jonas
8 stelle

In un ranch texano alcune mucche si ammalano: se fosse un’epidemia di afta epizootica, come paventa il veterinario, bisognerebbe abbattere l’intera mandria, il che significherebbe la rovina economica dei proprietari. Perciò Hud, amorale, donnaiolo e strafottente, vorrebbe vendere il bestiame finché resta l’incertezza: un consiglio che l’anziano padre, legato ai valori tradizionali, rifiuta con sdegno (“Sei un uomo senza principi, Hud” “Tanto tu ne hai abbastanza per tutti e due”). In mezzo a questo scontro generazionale c’è il nipote orfano di entrambi i genitori, che resta fedele al nonno ma prova un’oscura attrazione per lo stile di vita dello zio; a lato c’è la cuoca, una donna provata dalla vita ma ancora piacente, inevitabile catalizzatore per le tensioni sessuali dei giovani maschi di casa. Sceneggiatura piena di battute ficcanti e un quartetto di ottimi interpreti: una combinazione perfetta, che lascia al regista Martin Ritt il solo compito di fare il suo onesto lavoro. Per Newman, che ha un personaggio sgradevolissimo e non redento, si tratta di uno dei tanti Oscar mancati: i premi andarono invece a Patricia Neal e a Melvyn Douglas. Ma è bravo anche Brandon de Wilde, in un ruolo che ha l’unico torto di assomigliare troppo a quello di E il vento disperse la nebbia.

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