Regia di Mitchell Leisen vedi scheda film
George Iscovesco (C. Boyer), un profugo di origine polacca proveniente da Parigi, arriva in un paesino messicano al confine, intenzionato a passare la frontiera per entrare negli Stati Uniti, come tanti europei in fuga dalla guerra. Ma le autorità gli negano il visto e lo informano che a causa dei meccanismi burocratici avrà da aspettare dai cinque agli otto anni per ottenere il suddetto permesso. Allora Iscovesco cerca di trovare un modo "alternativo" per varcare il confine legalmente. Mitchell Leisen, particolarmente noto ed apprezzato per aver diretto una serie di commedie negli anni trenta e quaranta, realizza una pellicola abbastanza lontana dalle sue corde. Ma il risultato finale è assolutamente sorprendente in senso positivo.
Occorre precisare innanzitutto che "La porta d'oro" è un film difficilmente inquadrabile all'interno di un genere particolare: l'aspetto "esteriore" sembra riconducibile al melodramma, ma il fatto stesso che buona parte della vicenda è narrata attraverso un lungo flashback, e anche certe dinamiche dell'azione, rimandano chiaramente ai territori del "noir". Tuttavia non mancano parentesi tipiche della commedia.
La storia sembra anticipare atmosfere e situazioni del celeberrimo "Casablanca", uscito l'anno successivo, con tanto di profughi in fuga dall'Europa in guerra che farebbero di tutto per entrare negli Stati Uniti. Ma a differenza della pellicola di Michael Curtiz, ne "La porta d'oro" non vi sono ulteriori rimandi alla situazione storico-politica del momento (anche se indubbiamente qualche intento propagandistico, seppure tra le righe, c'è): c'è invece un triangolo amoroso piuttosto singolare, con Boyer conteso tra l'angelica Olivia De Havilland e la "volgare" Paulette Goddard.
La sceneggiatura è uno dei punti forti della pellicola, firmata da Charles Brackett e soprattutto da quel "geniaccio" di Billy Wilder, il cui tocco è ravvisabile in varie occasioni. Per il resto il film si affida alla scelta di un cast eccellente, a partire da Charles Boyer nel ruolo del gigolò cinico e calcolatore che alla fine si "redime", Olivia De Havilland perfetta nella parte della ragazza ingenua e di belle speranze che sarà costretta a disilludersi (da confrontare con il personaggio che la De Havilland stessa interpreterà ne "L'ereditiera" alcuni anni dopo) e infine la Goddard, particolarmente a suo agio nelle vesti della donna dalla morale ambigua e interessata soltanto al denaro dei suoi "partner" (emblematica, in tal senso, la sua uscita di scena).
Tra le sequenze da mandare a memoria: l'inizio metacinematografico, con Mitchell Leisen nella parte del regista Dwight Saxon, la scena (se vogliamo un pó eccessiva) in cui la donna incinta partorisce oltre il cancello della frontiera per far nascere suo figlio in territorio americano, e "l'happy end", ampiamente meritato dopo le tante vicissutudini e gli stravolgimenti della vicenda, e quindi tutt'altro che posticcio.
Piccola curiosità: l'attore Curt Bois, che qui interpreta il signor Bonbois, comparirà l'anno successivo proprio in "Casablanca".
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