Regia di Vincente Minnelli vedi scheda film
Solitamente i finali dei film finiscono per deludere le attese o comunque compromettere il valore dell'opera; un' Americano a Parigi (1951) invece è un'eccezione poichè in questo caso gli ultimi 17 minuti fanno si che si dia un senso a tutta l'operazione, capace di innalzarsi anche a sorta di manifesto del musical.
La pellicola è il tipico musical del periodo avente una trama praticamente inesistente che gira solo intorno ad una storia d'amore tra un ex-soldato americano ora pittore di nome Jerry Mulligan (Gene Kelly), che s'innamora di Lise Bouvier (Leslie Caron), commessa in un negozio di profumi, ma la ragazza è promessa sposa del suo amico Henri Baurel, per via della confusione della giovane tra la riconsocenza e il sentimento d'amore.
In sostanza, il film è una scusa per mostrare quante più canzoni possibili e passi di danza in una Parigi più cartolinesca possibile sia nella messa in scena che nella concezione, poichè sono tutti aspiranti artisti (pittori, cantanti e pianisti).
Essere dediti all'arte, ispira l'arte verrebbe da dire, specie grazie alla loro fervida fantasia che crea sequenze oniriche di puro delirio visivo; anche se sotto questo punto di vista, i risultati di Un Giorno a New York (1949) Minnelli non riesce a raggiungerli.
C'è in effetti un solco insormontabile tra la concezione del musical di Donen e Minnelli, che si riflette per via del loro differente background culturale ed artistico. Se Donen era un uomo di cinema e quindi, il suo musical và tra la gente e per la strada (cosa a cui gli studios erano contrari), per Minnelli invece la sua formazione deriva dalle correnti dell'arte come l'impressionismo ed il surrealismo.
In questo musical infatti il finale è quello che conta, poichè esprime la concezione artistica che Minnelli ha del musical, dal punto di vista artistico. Gente che balla e canta per la strada non esiste nella vita ed il cinema non ha di certo come fine cercare il "realismo" (men che meno il musical), quindi non c'è nulla di male a dichiarare apertamente la finzione scenica, grazie a degli sfondi astratti che fondono in loro vari stili e correnti artistiche al loro interno, con dei risultati visivi eccezionali e tutt'ora ineguagliati.
Si assapora ogni singolo colore della tavolozza e si gode ogni piccolo passo e movimento di danza di due ballerini eccezionali come Kelly e Caron (finalmente una ragazza non "stra-figa" a tutti i costi) in piena estasi amorosa, esprimendo così l'intimità più pura del loro sentimento che non sono capaci di confessarsi nella "realtà" (anche per via delle imbarazzanti vicissitudini personali; Jerry è una sorta di "mantenuto" di una ricca signora americana che compra i suoi quadri sperando di conquistarne così l'amore; è un film che gioca anche sulla percezione del sentimento da parte dei personaggi). Alla fine quindi il finale ripaga le attese parzialmente, perchè sino a quel momento era un musical come un'altro senza infamia e senza particolari picchi di lodi.
Il film vinse svariati oscar all'epoca, tra cui a sorpresa quello di miglior film battendo il molto più quotato Posto al Sole di Stevens. Oggi un'Americano a Parigi sembra essere svalutato o comunque ridimensionato dalla critica odierna, che lo vede come vincitore di un'oscar immeritato (anche se da questo punto di vista, vi sarebbero una marea di film ad averlo "rubato" e che sono molto, ma molto peggio) e al giorno d'oggi un film datato o comunque invecchiato inesorabilmente.Sento di condividere questi giudizi che vogliono etichettarlo più come cult (grazie al ballo finale di oltre 17 minuti), che come filmone, visto che seppur possa risultare superiore ai musical contemporanei sul piano visivo/estetico, non riesce a reggere il confronto con le commedie musicali di Stanley Donen che da lì ad un anno, avrebbe creato Cantando Sotto la Pioggia (1952), sempre con Gene Kelly, amalgamando le canzoni ad una vera e propria trama narrativa che andasse oltre la storiella d'amore in cui s'era confinato il genere sino a quel momento.
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