Regia di Ralph Thomas vedi scheda film
Un eminente chirurgo annuncia di poter trapiantare un pene umano. Il primo ricevente di tale intervento all'avanguardia sarà Percy, a causa di un incidente a dir poco strambo: mentre cammina per strada con un grosso lampadario tra le mani, gli precipita addosso un uomo nudo. Al risveglio dal trapianto Percy decide di mettersi alla ricerca del donatore.
Un racconto di Raymond Hitchcock viene trasformato in sceneggiatura da Hugh Leonard, con una collaborazione da parte di Terence Feely; questo è Percy, titolo molto british e troppo poco evocativo o tanto meno pruriginoso per la distribuzione italiana, che da noi ha lanciato il film come Il complesso del trapianto – che alla fin fine vuol dire tutto e non vuol dire niente. Prima curiosità: da più parti si sostiene che al copione abbia contribuito anche Michael Palin (Monty Python's) e se qualcuno ha dei dubbi su tale notizia vada a vedersi la scena in cui una telefonista parla con... Eric Idle, un personaggio del tutto ininfluente per la pellicola, ma omonimo di un altro componente dei Python's. Ralph Thomas, il regista, aveva già una discreta esperienza alle spalle nel cinema popolare e riesce qui a confezionare un prodottino rifinito a dovere, ma che in ogni modo difetta in quanto a linearità della trama e che si mostra spesso e volentieri pretestuoso, alla ricerca di situazioni ambigue o semplicemente barzellettistiche. L'argomento è d'altronde un trapianto di pene e inevitabilmente la memoria va subito a Il trapianto diretto un paio di anni prima da Steno, con Renato Rascel e Carlo Giuffré, a sua volta non esattamente un capolavoro. In questa pellicola il ruolo di protagonista è affidato a Hywel Bennett, senza infamia e senza lode, mentre in parti importanti troviamo anche Denholm Elliott e l'accoppiata di bellezze Elke Sommer e Britt Ekland. Seconda curiosità: la colonna sonora è dei Kinks (che uscirono in contemporanea con l'album Percy) e tutto sommato non sarebbe affatto male – siamo nel primo periodo di decadenza per Ray Davies – ma l'ascolto non è sufficiente a giustificare la visione dei cento minuti del lavoro. Terza e ultima curiosità: proprio durante una scena musicale, ispirandosi a un testo di Davies, compare brevemente George Best nei panni di sé stesso: e qui sconfiniamo nella mitologia. 3,5/10.
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