Regia di Bill Paxton vedi scheda film
Dopo "Frailty", il suo originale e riuscito film d'esordio che offriva un ritratto sinistro, ambiguo ed inquieto di un'America rurale e di provincia dove l'esasperato fanatismo religioso porta ad obnubilare la mente e a compiere gesti efferati in nome di Dio, l'attore Bill Paxton firma un film Disney che più classico non si può (come, del resto, lo erano gli analoghi "Il sapore della vittoria", "Un sogno una vittoria" e "Miracle" altri film sportivi prodotti dalla major di Topolino). Tratto dall'omonimo libro di Mark Frost che lo ha anche sceneggiato (suoi i copioni di alcuni episodi delle celebri serie tv "Hill Street giorno e notte" e "Twin Peaks", mentre per il cinema ha scritto solo "The believers" dignitoso thriller del 1987 di John Schlesinger e i due non memorabili episodi de "I fantastici quattro"), ispirato alla storia vera di Francis Ouimet, primo golfista dilettante a vincere gli U.S. Open del 1913 a Boston battendo il campione inglese Harry Vardon, di umili origini come lui (e infatti i fantasmi del passato ritornano spesso a ricordare ad Harry la sua misera provenienza, all'epoca poco conciliabile con uno sport adatto solo ai gentiluomini). "Il più bel gioco della mia vita", banale traduzione italiana dell'originale "The greatest game ever played" (letteralmente "la più bella partita mai giocata") è l'ennesima, ingenua e zuccherosa parabola sportiva sul sogno americano ("voglio solo un'occasione" non a caso dice Francis al recalcitrante padre). Paxton costruisce senza alcun dubbio un'opera piacevole, abile e coinvolgente, anche per i non adepti, ma il suo film scorre senza scosse né sorprese. A parte qualche curiosa ripresa ad effetto ed in soggettiva della pallina da golf, la bella ed intensa interpretazione di Stephene Dillane (Vardon), la prima convincente prova da protagonista per la futura star Shia Labeouf (Francis) e il simpaticissimo personaggio di Eddie, l'improvvisato giovanissimo e cicciotto caddie di Francis, interpretato dal sorprendente Josh Flitter, capace di sfornare ogni volta saggi consigli, il film ricalca necessariamente stereotipi fin troppo conosciuti, come il riscatto degli umili contro tutte le aspettative (anche se in questo caso la partita finale si svolge in un inconsueto clima di estremo e reciproco rispetto, nonostante la diversità delle personalità in campo) o il rapporto di Francis con i suoi genitori: da un lato la madre comprensiva che incoraggia la sua passione, dall'altro il padre ultra severo e scettico che lo vorrebbe solo a lavorare, ma poi, al momento del suo trionfo, gli stringerà commosso ed orgoglioso la mano. Meno male che il regista evita stucchevoli parentesi romantiche con la ricca Sara, innamorata del poveraccio Francis, nonostante la ferma opposizione della famiglia, e si concentra soprattutto sulle partite, rendendo persino interessante, quasi avvincente, comunque mai noioso, uno sport non proprio adrenalinico come il golf. Certo il finale è fin troppo melenso e lacrimevole con i vari personaggi che si avvicinano al protagonista portato in trionfo, ma l'ultimo scambio di battute, nello spogliatoio, tra i due contendenti è senza dubbio efficace. Un'opera assai tradizionale e consueta, vecchio stampo, ma, nel suo romanzato, schematico, fin troppo prevedibile e dolciastro sviluppo, onesta e godibile. Originali i titoli di testa. Il figlio del regista, James, interpreta Harry Vardon da piccolo nell'incipit.
Voto: 6 e mezzo.
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