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Il cameraman e l'assassino

Regia di Rémy Belvaux vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Il cameraman e l'assassino

di alan smithee
8 stelle

MY FRENCH FILM FESTIVAL 2018

Se uccidi una balena, hai tutti contro: animalisti, ecologisti, persino Cousteau.

Se uccidi delle sardine, ti aiutano persino ad inscatolarle.”

Una piccola troupe cinematografica indipendente, segue le scellerate mosse di un pazzo assassino che si aggira inosservato tra i quartieri popolari, i treni e in generale i luoghi frequentati dalla massa, mietendo indisturbato vittime scelte apparentemente in modo indiscriminato tra la popolazione; a conti fatti invece l’uomo, estroso ed esibizionista, si indirizza scientemente verso la massa più inerme, vecchi e donne sole principalmente, che poi deruba dopo l’esecuzione.

Come ci spiegherà nella sua impeccabile, seppur controversa confessione filmata, il suo segreto è puntare basso: evitare i quartieri borghesi, ove allarmi e poco contante a causa dell’utilizzo di carte di credito, favorisce l’accumularsi di rischi per cui il gioco non vale la candela.

Man mano che la troupe lo segue, gli stessi membri di essa inizieranno a prender parte alle scellerate azioni omicide del folle, sino a fargli commettere pure errori puerili che da solo lo stesso non avrebbe mai compiuto.

Durante una di queste efferate azioni, il gruppo si troverà ad incontrare una troupe televisiva, anch’essa orientata a documentare azioni poco pulite: sarà il momento di un sanguinoso scontro, ove, per una volta, il cinema avrà fisicamente la meglio sull’altrove invincibile piccolo schermo.

Dissacrante, schietto e forte di un bianco e nero disturbante, Il cameraman e l’assassino è un film che suscitò indignazione e scalpore alla sua uscita, nei primi anni ’90.

Girato da una cameratesca banda di assatanati ironici amici pestiferi di cui oggi ricordiamo solo il sulfureo ed imprevedibile, ma spesso irresistibile attore belga Benoir Poelvoorde, che per l’occasione si ritaglia alla perfezione il ruolo da protagonista (un personaggio sopra le righe che ricorda quello di De Niro in Taxi Driver, ma qui esposto ad un delirio assassino senza ritegno), Il cameraman e l’assassino punta indolentemente, ma con genialità, a creare nello spettatore quel sentimento di reazione alla violenza, delineando nello spettatore un atteggiamento molto simile a quello da cui si intende prendere le distanze.

Inoltre il film riflette su tematiche spinose ed inquietanti come l’indifferenza di una società che non si accorge delle efferate azioni di un folle giustiziere di fantasmi della cui assenza nessuno si accorge; ma anche sul cinismo del mondo dell’informazione, sul metodo moralmente così deprecabile da risultare comicamente assurdo e surreale utilizzato dagli organi della stampa e del cinema per documentare senza intaccare lo sviluppo di un’azione che crea la notizia o il fenomeno al centro dell’attenzione.

Un film indipendentissimo, girato “in famiglia” (la mamma dell’assassino ed i nonni sono gli stessi parenti veri di Poelvoorde!), con mezzi irrisori, ma soprattutto dissacrante e forte, in grado di irritare anche gli animi più irreprensibili o al contrario abituati a mostrare stomaco ed afferrare umorismi nerissimi senza batter ciglio; una pellicola di per sé quasi surreale, ma girata con un realismo disarmante ed inaccettabile, che mira a far ridere, ad inquietare, a lasciare interdetti, a creare scandalo, ripulsa anche con quel sangue nero esaltato dalla fotografia in bianco e nero; a creare insomma anche deliberatamente quelle situazioni da fuga in massa dalla sala, quasi a sentirci derisi e presi in giro dallo sguardo sarcastico e sbruffone dell’inquietante incontenibile protagonista

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