Regia di Robert Harmon vedi scheda film
Nel mezzo del deserto del Texas, attraverso lunghi rettilinei che si perdono oltre l'orizzonte, nel buio e nel sonno, a bordo di una vettura da consegnare all'altro capo del mondo, travolto da venti di sabbia e da una solitudine permanente, cercando rifugio in stazioni di servizio abbandonate, una flebile ricerca di quel contatto telefonico col proprio mondo conosciuto e rassicurante, ricercato erroneamente dalla polizia dell'intera contea, in fuga da un enigmatico, ossessivo e irrefrenabile autostoppista omicida senza identità.
Un film on the road nelle terre inospitali e selvagge d'america, come allegoria del rito di passaggio del giovane protagonista, un viaggio di maturazione attraverso ostacoli come persecuzioni, affrontando la violenza umana e l’ostruzione di incomprensibili istituzioni, immagine cruda ed estremizzata della società contemporanea. Troverà come unico alleato, comprensivo ed empatico, una giovane coetanea anch’essa alla ricerca di se stessa, di una strada, di un nuovo approdo, ma che per ingenuità e superficialità finirà vittima dell’ignoto. Rutger Hauer è quell’ignoto, un angelo del male che mette alla frusta il ragazzo, è la rappresentazione vaporosa e crudele delle difficoltà che il giovane è tenuto a fronteggiare, psicologicamente e fisicamente, per uscirne maturo e risoluto: da pavido bambino ad uomo sicuro di sé e conscio delle trappole che lo circondano. Lo umilia nel primo incontro puntandogli un coltello in faccia, “io voglio morire” lo costringerà a dire, e dopo avergli fatto passare una martoriante ed infernale odissea, lo invita ad ucciderlo per salvare la ragazza, ma il ragazzo reagirà ancora timidamente perdendo quindi la giovane; avrà bisogno di quell’ulteriore shock per affrontarlo in un duello finale, una resa dei conti in cui, lottando e con risolutezza, si deciderà di uccidere l’autostoppista, ponendo fine a quell’insormontabile e aspra ossessione.
L’ambiente desertico e inospitale è simbolo di straniamento, dell’uscita dal nucleo familiare, dal feto materno, un difficile e sconosciuto mondo in cui, abbandonati a se stessi, nudi, costretti a farsi forza unicamente nel proprio equilibrio e nella propria interiorità, trovare la forza e la strada per lottare per la sopravvivenza.
Una poetica della violenza per una storia metafisica e dirompente, sospesa nel nulla, un viaggio evolutivo attraverso il dolore e l’ignoto, in cui la precarietà e la morte civile è causata dalla propria insipienza, indecisione, vigliaccheria, immaturità. La fuga e l’elusione è utile solo a prolungare e incancrenire il problema.
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