Regia di Bill L. Norton vedi scheda film
Dirò un'eresia, però m'è piaciuto di più questo secondo episodio di "American Graffiti", che non l'originale diretto nel 1973 da George Lucas. Quello fu, secondo me, troppo esaltato, questo forse troppo sottovalutato. Anche se non va trascurata l'importanza dell'originale, che oltretutto contribuì a riattizzare la moda (intesa in senso lato) degli anni sessanta, si vogliono attribuire al film di Lucas troppi significati epocali. Questo "American Graffiti 2", invece, nella sua semplicità e nell'assenza di eccessive pretese, è un filmetto che si vede più che volentieri. Fra l'altro il regista Norton compie la felice scelta di raccontare le quattro storie che compongono il mosaico secondo stili diversi a seconda del tipo di vicenda narrata (ad esempio quella dei coniugi Bolander sembra una sitcom, anche se poi sfocia in un finale alla "Fragole e sangue", mentre quella del giovane "Rospo" Fields in Vietnam è ripresa con una cinepresa amatoriale e ricorda "M.A.S.H."). Le storie narrate si svolgono in un arco cronologico che copre alcuni capodanni nella seconda metà degli anni sessanta, e si sviluppano secondo temi abbastanza tipici per quegli anni: la contestazione studentesca, il formarsi della coscienza femminista (la giovane signora Bolander lascia il marito perché non vuole che lei lavori), la guerra del Vietnam, il pacifismo, le droghe e il rock'n'roll come metodi di evasione da una realtà opprimente, eccetera. Tutto sommato l'episodio meno riuscito è quello dell'automobilista, confuso e poco interessante. Il migliore è quello del soldatino, interpretato dalla faccetta più interessante del mazzo, cioè quella dell'occhialuto Charles Martin Smith.
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