Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Al suo secondo film dopo I pugni in tasca, il 28enne Bellocchio propone un altro ritratto al vetriolo dell'istituzione familiare. Siamo a Imola dove, in una lussuosa casa patrizia, convivono tre fratelli. Vittorio (Mauri), il maggiore, è un professore di liceo, un trasformista della politica che sta per candidarsi con il Partito Socialista. La sorella Elena (Tattoli, anche co-sceneggiatrice) possiede una notevole facilità ad avere relazioni amorose e gestisce i beni di casa con piglio autoritario mentre il più piccolo (Aprà, attore che morì a soli 36 anni) scavalca entrambi i fratelli a sinistra, frequentando gruppi maoisti che vorrebbero anche redimere le prostitute, salvo poi servire messa la domenica. La vicenda famigliare si complica quando Elena si fa mettere incinta da un ragioniere (Graziosi) che, oltre a essere il portaborse di Vittorio, è anche l'ex della segretaria di quest'ultimo (Surina), a sua volta invaghito proprio della ragazza e dterminato ad evitare lo scandalo.
Girato in un notevole bianco e nero e con scelte fotografiche da cinema espressionista, La Cina è vicina - il cui titolo, oltre a diventare una scritta su un muro realizzata dal collettivo extraparlamentare, è anche il titolo di un libro di Enrico Emanuelli - si muove tra satira di costume e analisi politico-sociale con un registro che spinge sul pedale del grottesco, mettendo in evidenza soprattutto l'ipocrisia della famiglia. Una scelta decisamente più efficace sul piano narrativo che su quello dei contenuti, qui stemperati da un racconto a teorema nel quale il sarcasmo sembra mirare più ad innescare la risata che non a mettere a nudo le assurdità dell'eccesso di ideologia, col rischio di rasentare il qualunquismo.
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