Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Proseguendo il discorso iniziato con "I pugni in tasca", mirando al bersaglio dell'alta borghesia con un linguaggio cinematografico che sta tra Buñuel e il free cinema, senza dimenticare il Pietro Germi degli anni Sessanta (da "Divorzio all'italiana" a "Signore & signori"), Bellocchio conferma le buone cose preannunciate con la sua opera d'esordio. Valutato quasi fosse un'opera minore, una variazione comica sui "Pugni in tasca", "La Cina è vicina" è, fin dal titolo, un film slogan sulla borghesia italiana (che ancora esisteva), sul suo trasformismo politico e sulla sua capacità di rigenerarsi sotto diverse forme, nonché sul velleitarismo dei suoi patetici slanci. E se il titolo medesimo, più che avere significati propriamente politici, colloca il film cronologicamente, il suo contenuto è - sorpresa - perfino preveggente. Nella goliardia fine a sé stessa del gruppuscolo rivoluzionario maoista, nel trasformismo quasi inconscio, tanto è ostentato, del "capofamiglia", nell'arrivismo dei due ragionieri, nel ripiegarsi su sé stessa e sul proprio ombelico (se non più giù) di Elena, c'è molta della politica italiana di oggi. Ed anche dell'atteggiamento di tanti, forse troppi, italiani verso la nostra politica. Bravissimi quasi tutti gli attori: va da sé che il più credibile risulti Glauco Mauri, che ha in Paolo Graziosi un ottimo deuteragonista, ma la mia preferita, con una faccia ed un comportamento che si attagliano perfettamente al personaggio, è Elda Tattoli.
Ad Imola, un insegnante di scuola media di mezza età, scapolo, viene candidato dal Partito Socialista ad un assessorato. Per la campagna elettorale si avvale di Carlo, militante del partito, che aspirava alla stessa carica, fidanzato con la sua segretaria. La sorella del professore, sessualmente insoddisfatta, intreccia una relazione con Carlo, mentre il fratello minore, che studia in un collegio religioso, ha fondato un collettivo maoista.
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