Regia di Tom Hooper vedi scheda film
Ad anni di distanza dall’abolizione dell’apartheid e dalla fine di un ciclo di brutale e prevaricatore regime politico, il Sud Africa brucia ancora. Come in preda ad un tragico moto pendolare di soprusi e violenze, le vittime provano a rovesciare i ruoli consolidati e il caos sembra voler prendere il sopravvento.
Ma nel Sud Africa del post apartheid sono germogliati, altresì, barlumi di speranza. Uno di questi è certamente rappresentato dalle Commissioni per la Verità e la Riconciliazione, tribunali speciali istituiti con l’intento di ricucire lo strappo di un paese logorato da decenni di odio e morte.
Ebbene, è in questo contesto che si colloca la bella storia raccontata da Tom Hooper (regista) e da Troy Kennedy-Martin (sceneggiatore).
A 14 anni dagli eventi che sconvolsero per sempre la vita di Alex Mpondo (C. Ejiofor), anche le sue ferite bruciano ancora e gli cagionano un dolore che difficilmente potrà mai davvero essere lenito del tutto (men che meno con le ricorrenti - quasi terapeutiche forse - nuotate nell’acqua ristoratrice di una piscina). Ma dalle latebre di una prigione riaffiora un pallido “spettro” pronto a mettere in discussione le fragili, dolorose, certezze della sua ex vittima.
Red dust si rivela un gran bel film perché, pur senza rinunciare a fare uso della struttura narrativa (forse ostile ai più) tipica del genere “legal” (con annesso ligio rispetto dei suoi tempi e delle sue procedure) non mortifica mai il pathos evocato dalle storie narrate, ma ne esalta, anzi, i profili di convergenza verso sentimenti ben più nobili di quelli che per troppi anni sono esalati dalla rossa polvere sudafricana.
C’è sempre bisogno di film come questo; film che non cercano una plateale spettacolarizzazione della tragedia che esaminano, bensì la rielaborazione del dramma vissuto da un intero popolo, in funzione catartica; in funzione riconciliativa.
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