Regia di Gene Kelly vedi scheda film
Curioso come il regista Andrew Stanton abbia citato nel suo "Wall-E" del 2008 due film tanto diversi tra loro come "2001: Odissea nello spazio" ed "Hello, Dolly!". Il piccolo robot spazzino si coccolava a fine giornata guardando il film di Gene Kelly e ne conosceva a memoria coreografie e canzoni. Se non fosse stato una scatoletta composta da circuiti e metallo il piccolo Wall-E avrebbe versato sentetiche lacrime di commozione al suono di "It's Only takes a moment". Il capolavoro di Kubrick, invece, veniva omaggiato dall'occhio rosso del timone ribelle che si impossessava della nave spaziale emulando Hal 2000 nell'aspetto e nelle decisioni avverse all'umanità.
"2001 odissea nello spazio" uscì in sala nell'aprile del 1968 mentre "Hello, Dolly!" approdò nei cinema americani nel dicembre del '69, in contemporanea con un certo "Easy Rider" e a pochi mesi dal film di Kubrick. Erano sostanzialmente coevi Hal e Dolly ma c'era un abisso tra loro. La pellicola di Kubrick era il nuovo che avanzava, un film destinato a riscrivere la storia della fantascienza, un'opera magna su cui si sarebbero formate le successive generazioni di registi, un passaggio obbligato ed ingombrante per tutti gli autori amanti della fantascienza. "Hello, Dolly!" era , invece, il classico musical hollywoodiano, già vecchio all'uscita, incapace di rinnovare i canoni estetici del genere, un genere che, per inciso, era sulla via del pensionamento. Il pubblico cinematografico si era evoluto ed il musical non aveva tenuto conto dei cambiamenti della società civile modificando il proprio linguaggio. Si stavano combattendo le lotte per i diritti i civili, era in corso una guerra impopolare sul suolo vietnamita e le correnti sessantottine stavano cambiando radicalmente il modo di pensare. Troppa roba per un film hollywoodiano. Solo negli anni Settanta opere rock come "Jesus Christ superstar" e "The Rocky Horror Picture Show" avrebbero modificato le regole sconvolgendo un genere che fino ad allora aveva richiesto montagne di dollari per la produzione e regole ferree. "Hello, Dolly!, pur uscendo nel 1969, non aveva assorbito i cambiamenti epocali di quella irripetibile stagione e tantomeno il cambiamento del pubblico pagante. Per spezzare una lancia a favore di Gene Kelly, che lo diresse a 57 anni, bisogna dire che il musical era forse il genere cinematografico più alieno ai cambiamenti. Spesso i "big budget musical" arrivavano al cinema molti anni dopo l'esordio dell'opera a Broadway. Se l'argomento poteva essere originale o di una qualche attualità a ridosso della produzione teatrale non necessariamente lo era ancora cinque/dieci anni dopo quando lo spettacolo diventava celluloide. Pensiamo ad "Hair" che fu rappresentato a Broadway nel 1967, nel pieno della guerra del Vietnam, e divenne un film solo nel '79 quando lo spirito hippy era già tramontato e la sporca guerra era già finita.
Nella fattispecie "Hello, Dolly!"aveva fatto il suo esordio a Detroit nel 1963, per affermarsi come grande successo a Broadway a partire dal 1964.
A ridosso del 1968, che a tutti gli effetti fu uno spartiacque epocale, era difficile pensare che uno spettacolo in voga nel '64 potesse avere gli stessi effetti sul pubblico del '69. Il processo produtivo dei film tratti da musical di Broadway, in sintesi, era un pachiderma in movimento che rischiava di tagliare il traguardo quando la gara era già terminata da un pezzo. Benché promosso dalla critica e dalla Academy of Motion Picture Arts and Sciences "Hallo, Dolly! fu accolto tiepidamente dal pubblico. Di fatto fu un flop al botteghino e fu nettamente surclassato da quel "Easy Rider" che uscì contemporaneamente nelle sale diventando il simbolo della controcultura. "Easy Rider" guadagnò qualche nomination agli Oscar mentre Il film di Kelly ottenne tre statuette tecniche e molte nomination, sinonimo che la stessa critica e i membri dell'Academy erano più orientati a premiare formule classiche e risapute anziché novità destabilizzanti. Nulla di nuovo.
Mentre Stanley Kubrick filosofeggiava intorno alla natura umana e nel film di Dennis Hopper si fumava vera marijuana il film di Gene Kelly era ambientato nel secolo precedente, era sorretto dallo sfarzo di elaborate acconciature, dalla magnificienza di sontuose scenografie e da un apporto musicale vetusto in tempi in cui i giovani ascoltavano il rock psichedelico dei Doors ed erano ancora inzuppati dalla pioggia di Woodstock. E se Elvis Presley aveva dato una scossa sostanziosa al linguaggio del corpo imprimendo quell'energia sgangherata e disdicevole ai suoi movimenti di gambe e bacino non vi era traccia di quella vivacità nelle coreografie di Michael Kidd che si rifacevano, piuttosto, ai musical degli anni addietro di cui Kelly era portabandiera.
L'impressione che il film sia arrivato fuori tempo massimo è forte tuttavia sono altri aspetti a rendere necessaria una rivalutazione del film: una sceneggiatura lacunosa, la manichea rappresentazione dei personaggi secondari e la scarsa alchimia tra i due protagonisti. A livello di sceneggiatura mi è sembrato debole l'apporto della giovane coppia formata da
Ermengarde e Ambrose così come i piani di Dolly intorno alla nipote del magnate Horace Vandergelder mi sono sembrati inutili. La sottotrama a loro dedicata non è stata sviluppata a dovere dalla sceneggiatura di Ernest Lehman. I giovani impiegati di Vandergelder, in cerca di avventura a New York, sono talmente sciocchi e ingenui da rasentare il ridicolo. Una rappresentazione del giovane inesperto campagnolo che risulta imbarazzante anziché divertente. I due protagonisti, invece, funzionano bene... finché sono soli. Quando sono chiamati ad interagire Walter Matthau e Barbra Streisand non mostrano particolare affiatamento probabilmente a causa dello script che scopre immediatamente le carte sull'interesse della donna per l'uomo liquidando quello di lui per lei nella penultima sequenza del film. Un interesse amoroso quello di Horace che sembra piovere dal cielo troppo frettolosamente e senza che ci siano stati indizi precedenti ad avvalorne l'improvvisa manifestazione a soli dieci minuti dalla fine.
Tecnicamente, invece, il film è ineccepibile. Splendida la ricostruzione scenica e i costumi per un'opera che, va detto, fa dei canti e i balli il punto di forza. Alcune sequenze sono memorabili come l'introduzione che ci svela tutti i segreti di Dolly Levi, imprenditrice e faccendiera che distribuisce biglietti da visita sulle note di "Just Leave Everything To Me". Walter Matthau, invece mostra il meglio di se in "It Takes A Woman" snocciolando le improbabili doti della sposa perfetta che naturalmente sono ben lontane dal definire il carattere ed il portamento di Dolly. Infine, sulle note di "Dancing" Michael Kidd lascia il segno utilizzando una semplice panchina, come elemento coreografico, per trasformare la danza in capolavoro.
"Hello, Dolly!" è stato oggetto di un effettivo scollamento nella percezione di pubblico e critica, e, successivamente, di una rivalutazione che ha ridotto, in parte, l'originario entusiasmo sull'opera. Nonostante ciò, oltre ad aver consolidato la fortuna di interprete e attrice di Straisand, è stato citato, come punto di riferimento, da.piú parti. Ne sono testimoni il brano "Put on Your Sunday Clothes", utilizzato in diverse scene di "Wall-E", riproposto nella vivace sequenza alla stazione e per le vie di Yonker grazie ad un logoro VHS, e la bellissima sequenza danzata al ritmo di "Hello, Dolly!" che inaugura la seconda stagione della serie "Zoey's extraordinary playlist".
Il film di Gene Kelly, piaccia o meno, si è ritagliato il suo spazio nell'immaginario collettivo e nella storia del cinema americano.
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