Regia di Steven Zaillian vedi scheda film
Ripercorrendo la filmografia di Steven Zaillian, si passa da una potenziale via d'uscita attraverso la rinuncia alla battaglia omicida ("In cerca di Bobby Fischer", 1993) alla presa di coscienza dell'erroneità/fallacità d'un intero modus vivendi ("A civil action", 1998), fino all'ultima tesi esposta in "Tutti gli uomini del re" (2006), in cui non solo si schianta lo status quo della condizione antropica ma non si fa cenno ad alcuna possibilità salvifica, poiché ogni cosa, compresa la fanciullezza, è marcia.
Se non c'è dato di discernere il bene, se da qualsiasi evento o fatto negativo non possono che originare altrettante nefandezze, se una situazione di pena e infelicità affonda le sue radici in epoche -apparentemente- dorate, allora non v'è nulla degno d'essere reputato buono. Ne reca testimonianza ogni personaggio della storia(/Storia) che, pur muovendo da scelte iniziali lodevoli e condivisibili, finisce invischiato in un pantano d'ipocrisie, bassezze, tradimenti, depravazione e immoralità. Su tutto incombe l'infausta ciclicità della maledizione d'ascendenti o mentori, che viene trasmessa alle nuove leve (il giudice Irwin insegna a sparare al giovane Jack, il quale ricambierà in età adulta pugnalandolo alle spalle) accomunando gli uni e le altre nella medesima corruttela, così come simboleggiato dall'eloquente sequenza conclusiva (il sangue dell'ucciso e dell'uccisore, del "puro" e dell'"impuro" si confonde annientando qualsiasi sorta di distinguo).
Considerando alla stregua d'uno spartiacque la pellicola del '98, che rimane pur sempre il miglior paradigma di sintesi minimalista all'interno della produzione (da regista/sceneggiatore) del cineasta statunitense, spetterà al fruitore l'opzione più in linea con l'indole, le patologie e il bagaglio teoretico-esperienziale che si ritrova: se propendere per un'apertura verso l'ulteriorità, quella indicata dal piccolo Josh, o per il polo opposto ipernichilista esemplato dalle vicende della Louisiana.
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