IL CINEMA AI TEMPI DELLA QUARANTENA
In una cittadina portuale europea affacciata sul Mediterraneo, quattro individui di razza ed estrazione differenti, si imbarcano in un peschereccio, che poco dopo viene rintracciato e inseguito dalla imbarcazione della Guardia Costiera, che non si esime nell'aprire il fuoco contro gli inseguiti.
Ritroviamo quei soggetti in qualità di naufraghi, lungo un tratto costiero in altri frangenti certamente ameno e suggestivo: uno tra essi muore a riva, gli altri tre, due uomini ed una donna, pur esausti e sotto shock, si danno alla fuga, attraversando terre desolate che li portano al deserto, ove uno dei due uomini fa perdere le tracce di sé.
La donna pare cercare rifugio presso un villaggio di pastori, mentre l'altro uomo, un francese, la guarda da lontano, fino a decidere di procedere nuovamente verso il mare, ove forse si può ancora trovare salvezza e magari redenzione.
Il cinema seducente ed evocativo dello straordinario regista lituano Sharunas Bartas ci ha abituato all'assenza quasi totale della parola, per procedere con convinzione attraverso una narrazione comunque potente, che avviene attraverso la forza delle immagini: circostanza che fornisce l'occasione preziosa, per lo spettatore, di fare suoi particolari solamente suggeriti o percepiti ognuno grazie alla propria sensibilità o al proprio spirito di osservazione.
In Bartas non è mai il dialogo a definire i contorni della storia, quanto piuttosto le immagini che si susseguono, l'intensità di sguardi che riescono a dire molto di più e cose decisamente più profonde e solenni che un banale discorso che si annulla poco dopo pronunciato.
E' un cinema di percezioni e di sensazioni, quello di Bartas, che tuttavia mantiene anche in questa circostanza una sua precisa e potente struttura narrativa, pur scegliendo vie di comunicazione che impegnano altri circostanziati sensi, e provocano differenti e più vibranti sensazioni in chi sa ed è disposto a cogliere il senso della vicenda, percependone tutto il suo afflato universale.
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