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Biancaneve

Regia di João César Monteiro vedi scheda film

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La recensione su Biancaneve

di alan smithee
8 stelle

Dopo la folle ma geniale trilogia sulle avventure dell'anziano balordo Joao de Deus, barbone, gelataio, ereditiero dalle sembianze vampiresche e dai costumi sporcaccioni e feticisti, Monteiro affronta la favola forse piu' nota dei fratelli Grimm: Branca da Neve.
Ma lo fa naturalmente con uno stile tutto suo, non certo con la dorata, costosa e immaginifica convenzionalita' della recente trasposizione di Tarsem: anzi proprio all'opposto il maestro portoghese inizia il suo film con le spiazzanti immagini (vere) relative alla morte per assideramento, in mezzo ad un parco candido di "bianca neve" immacolata, dello scrittore svizzero Robert Walser, ritrovato cadavere dopo essersi allontanato dall'ospedale psichiatrico dove si era recluso volontariamente da anni. In seguito lo schermo diventa nero, nero come la morte che la favola barocca ispira in tutta la sua cruda vicenda, addolcita qua e la' dalla presenza di figure che indorano la pillola ai bambini a cui viene raccontata, peraltro generalmente molto propensi a farsi prendere dai turpi inganni e dalle invidie che costituiscono l'anima della vicenda e dei crimini che ad essa sottendono. Uno schermo nero, nel quale inizialmente immaginavo fosse immerso il mondo di una Biancaneve morta-apparente dopo l'avvelenamento della mela, nella sua bara di cristallo, con improvvisi sprazzi di cielo sovrastato da nubi e cirri come un tentativo di risveglio dopo il bacio del principe giunto in suo soccorso. Invece si scopre poco dopo che il nero cupo e invalicabile, solcato unicamente (e per fortuna) dai sottotitoli di una traduzione che mai come in questo caso giunge a soccorrerci, e' la spoglia e funerea coreografia di una sorta di continuazione della favola originale. I protagonisti sono uno di fronte all'altro (lo si immagina dalle loro voci che si alternano nel dialogo) e uno per uno raccontano il loro stato d'animo, si scherniscono, chiedono scusa; Biancaneve per prima, che da vittima designata, destinata a riscattarsi per un finale da "e vissero tutti felici e contenti", sembra invece quasi divenire la fomentatrice di invidie e comportamenti degenerativi di persone altrimenti pacate ed estremamente equilibrate. Insomma un film ancora piu' folle e sfidante di quelli a cui ci aveva abituato il geniale regista portoghese. Una pellicola non facile, come non e' facile fissare per oltre settanta minuti uno schermo pressoche' sempre nero seguendo un dialogo fitto tra quattro personaggi in preda ai sensi di colpa; una fissita' con cui ci aveva qualche anno prima gia' stupito Derek Jarman con il blu elettrico del suo ultimo film-testamento (Blue, appunto) che raccoglieva le memorie dell'anima (la sua) alla soglia del trapasso, ma che in qualche modo ammaliava per la vitalita' di quel colore elettrizzante e misterioso nel contempo. Il nero di questa pellicola comunica invece solo l'oscurita' delle losche trame e del tranello, dell'intrigo mosso da invidie e gelosie, ed e' scalfitto solo in modo effimero da visioni di un cielo aperto certamente rasserenanti, ma cosi' effimere da rendere ancor piu' doloroso il ritorno alle tenebre. Poi nel finale, una spiazzante ripresa del regista che guarda fisso in camera con aria trasognata e goffa, ci rivela che, forse, si e' trattato ancora una volta di un bizzarro scherzo di questo geniale cineasta, uomo colto con un suo lato comico difficilmente interpretabile, che non sapremo mai quando fosse da prendere sul serio o quando si prendesse gioco di noi e del nostro perbenismo da quattro soldi.

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