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American Gigolò

Regia di Paul Schrader vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su American Gigolò

di sasso67
8 stelle

American Gigolò è un noir non banale, che è stato avvicinato al cinema di Bresson ed alla letteratura di Dostoevskij. Del resto, la storia personale di Schrader è lì a confermare queste ascendenze culturali: educato secondo la rigida morale calvinista, il regista non poté vedere alcun film fino all'età di 18 anni, dopo di che, affrancatosi dall'autorità familiare, studiò cinema all'università, laureandosi con una tesi su Bresson, Ozu e Dreyer. Tematiche ricorrenti del suo cinema (a partire dalle prime sceneggiature, come Yakuza e Taxi Driver) sono la solitudine e il senso di colpa e questo film non fa eccezione. Oggetto di una macchinazione, il protagonista a un certo punto si infila in una situazione che da un certo punto di vista rimanda anche all'opera di Kafka e a uno dei film più interessanti e meno noti di Arthur Penn, Mickey One, il cui protagonista si sente colpevole di non essere innocente, così come questo Julian Kay, che confessa al "suo" poliziotto che la sua professione non è molto legale (e pare sottintendere di essere consapevole che non è nemmeno troppo etica).

Julian vive in un mondo ordinatissimo, fatto di vestiti intonati, un'automobile elegante ma sportiva (una Mercedes dacappottabile), donne attempate eleganti, ambienti altrettanto sofisticati, tanto da sentirsi sostanzialmente in una botte di ferro. Ma è il perfetto capro espiatorio sul quale far ricadere una colpa terribile e si renderà presto conto di quanto sia fragile quella "sicurezza" dalla quale era apparentemente protetto. Lo colpisce una sorta di paranoia da spionaggio, non dissimile da quella che affligge il protagonista della Conversazione coppoliana.

A questo punto subentra l'elemento forse più debole di tutto il film, ovvero quel finale salvifico che non so quanto dipenda dalla reale filosofia del regista (l'amore come ancora di salvezza in un mondo dominato dall'avidità e dall'ipocrisia?) ovvero dalla volontà della produzione di dare un finale positivo a una vicenda comunque amara.

Richard Gere è soprattutto un corpo e non credo che ci fosse bisogno di un attore uscito dall'Actor's Studio. Anche Lauren Hutton se la cava, nel dare corpo e anima a questa donna del bel mondo, disperata e in cerca d'amore, tanto da essere disposta a pagarlo.

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