Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Corea del sud, 1986, in una piccola cittadina di campagna avvengono brutali omicidi. Offuscati da un clima dittatoriare e da un regime militare, i poliziotti locali brancolano nel buio, incapaci di far fruttare i pochissimi indizi che hanno a disposizione, prendono in ostaggio probabili sospettati da cui estorcono confessioni al limite dell'assurdo.
Già dal suo secondo film Bong Joon-ho sembra volersi soffermare sulla potenza della verità; le espone nuda e cruda in quel suo modo disturbante, che chi ha visto Parasite conosce bene, pregno di consapevolezza e a cui si è incapaci di poter controbattere.
Espone i fatti utilizzando il punto di vista dei due protagonisti principali, Park Doo-man, agente del posto dai modi consoni al luogo in cui vive e in cui esercita il suo ruolo, e Seo Tae-yoon, giunto appositamente da Seoul per affiancarlo nelle indagini (che finiscono per sfociare sempre in un punto morto) dai modi razionali e meticolosi, come se venendo dalla non-provincia avesse acquisitio una padronanza del mestiere diversa, di certo più distaccata e meno incline alla corruzione del pensiero. Sarà per questo che, alla fine, a forza di stare a contatto con persone dal pensiero deviato, in una situazione frustrante e senza via d'uscita, finisce quasi per convertirsi anche lui alla giusitizia personale che sembra essere sempre più soddisfacente di quella legale o quantomeno possiede quel sinistro senso di compiuto che soddisfa in modo insipiegabile.
Pur palesando tratti lenti in cui l'attenzione inevitabilmente tende a calare, sono le inquadrature in quel caso a farla da padrone. Permettono allo spettatore di rimanere incantato se non dalla narrazione, non sempre comprensibile da chi non conosce la storia della Corea, almeno da ciò che vede e in cui indubbiamente si denota il cinema di Scorsese, quell'Infernal Affairs da cui è stato tratto appunto The Departed e dei registi americani degli anni '90, in una scena sono riuscita a vederci il Lasse Hallström di Buon compleanno Mr Grape, se avete visto il film vi sarà facile capire dove e perché.
Di Bong Joon-ho, che fa cinema da vent'anni e che abbiamo scoperto solo ora, forse sarebbe il caso di recuperarne la filmografia, affinchè lo sguardo smarrito e spaventato di Park Doo-man, interpretato magistralmente da Kang-ho Song, non resti il solo ricordo di un cineasta sbalorditivo.
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