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Memorie di un assassino

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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La recensione su Memorie di un assassino

di andenko
8 stelle

Gli insegnanti di scrittura creativa raccomandano ai loro allievi di raccontare storie che non sono mai state narrate o, quanto meno, mai in quel modo. Più facile a dirsi che a farsi, ma Joon-ho Bong pare proprio esserci riuscito. Voto: 8-

scena

Memorie di un assassino (2003): scena

Gli insegnanti di scrittura creativa raccomandano ai loro allievi di raccontare storie che non sono mai state narrate o, quanto meno, mai in quel modo. Più facile a dirsi che a farsi, ma Joon-ho Bong pare proprio esserci riuscito con "Memorie di un assassino". La visione talvolta mi ha evocato suggestioni da altre opere (successive al suo film, beninteso): la brutale inconcludenza della polizia ne "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"; l'angosciante "assenza onnipresente" del maniaco ne "La ragazza nella nebbia"; la provincia degradata e squalificante che genera ogni sorta di perversione, come nella prima stagione di "True Detective".

Nel film di Bong tutti questi ingredienti, già assaggiati in varie salse, vengono ricombinati in un piatto originale, che poco si presta a una chiara classificazione. Come in "Parasite", sembrano due film in uno, il primo una commedia nera piuttosto surreale, il secondo un thriller ad altissima tensione. Significativo il "chiasmo" tra i due detective co-protagonisti, bene sottolineato da Peppe Comune nella sua recensione. Il poliziotto locale, violento senza essere cattivo e anche piuttosto tonto, col procedere delle indagini diventa "mite" fino al punto di lasciare la polizia; mentre il suo collega antagonista, proveniente dalla capitale, perde la lucidità di calcolo che lo caratterizzava, scadendo in una violenza inaudita, causata dalla frustrazione.

Su tutto aleggia l'affresco politico e sociale di un Paese (rectius: delle sue periferie), in cui i forti hanno sempre diritto di fare a pezzi i deboli, senza che ciò susciti una reale repulsione o almeno disapprovazione. Particolarmente riuscita la caratterizzazione del commissario capo che prova a rieducare i suoi sottoposti: per convincerli ad abbandonare i metodi violenti, li prende a calci in faccia...

Perfino le gesta del serial killer, che a noi suscitano vero sgomento, spiazzano lo spettatore. Sembra che la sua vera colpa non sia di seviziare le vittime, perché è "ovvio" che un uomo possa fare alle donne tutto ciò che gli pare. La sua vera colpa è prendersi gioco della polizia, ridicolizzando il potere costituito. Per questo motivo ho scelto come immagine di copertina della recensione la riunione in commissariato, nella quale l'unica poliziotta donna ha un'idea degna di nota e, naturalmente, viene snobbata e ridicolizzata dai colleghi maschi.

Proprio ieri, per la prima volta in vita mia, mi sono sottoposto al "test della gallina", cioè ho provato a uccidere un pollo a mani nude, a spennarlo e ripulirlo. Un'esperienza non così banale come potrebbe sembrare, tra ossa che scricchiolano, sguardi di vero terrore del pollo e quell'odore di sangue, misto a morte. Lascio a voi ogni possibile considerazione e parallelismo, tra il "test della gallina" e il film.

Voto: 8-.

 

 

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