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Memorie di un assassino

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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La recensione su Memorie di un assassino

di Baliverna
8 stelle

Film sud-coreano lontano dai videogiochi, dallo splatter, e da ogni frivolezza. E fa pensare.

 

Mi è piaciuto questo film coreano, cinematografia questa della Penisola che non pratico molto. Sembra, tra l'altro, che la pellicola si sia imposta a poco a poco alla miope e meschina distribuzione italiana, essendo uscita in Corea del Sud nel 2003, e in Italia solo nel 2020.

Intanto il titolo è tradotto malissimo dall'inglese, tanto da stravolgerne il significato. “Memories of murder” recita in inglese, che va tradotto come “Ricordi di omicidio”, il che è attinente alla trama del film: viene infatti ricordato un caso di omicida seriale che nel 1986 violentò e uccise diverse donne e sconvolse la società dell'epoca. Ma “Memorie di un assassino” capite anche voi che vuol dire tutt'altro: fa pensare ad un assassino che ripercorre i suoi ricordi degli omicidi.... Ma che c'entra col film?

In ogni caso, la vicenda è ben raccontata, senza inutile sensazionalismo e senza le solite scene truculente e le sequenze repellenti delle autopsie. Nulla toglie, questo, però, alla rappresentazione del male nella sua essenza più disgustosa e crudele, oltre che fine a se stessa. Il maniaco, infatti, non uccide per denaro o vendetta, ma solo per un impulso interiore che si crede in diritto di mettere in atto.

I poliziotti e il commissario sono molto motivati, ma alcuni di loro sono troppo violenti e precipitosi. Ad altri interessa solo di ottenere una confessione, magari estorta, persino più della verità. E attorno a loro ci sono i giornalisti avidi di scandali, e più propensi a criticare la polizia che il maniaco stesso. Inoltre, sulle indagini grava una specie di scalogna cronica: le prove più importanti mancano, gli indizi sono ingannevoli, i testimoni chiave fanno fatica a testimoniare o muoiono in modo stupido, e persino le poche certezze, come certi documenti, vanno persi o distrutti nei modi più strani.

E in fondo al tunnel c'è la verità, sfuggente e forse irriconoscibile; come la bella e normale faccia del crudele assassino.

Regia solida, interpretazioni intense e misurate, fotografia marroncina e scura, ambienti scialbi e sporchi, ma confortevoli e non rassicuranti, un finale indovinato. Un film da vedere.

 

 

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