Regia di Xavier Beauvois vedi scheda film
Antoine, neo-tenente di polizia, sceglie di essere trasferito da Le Havre a Parigi. “Restando a Le havre, mi sarei occupato al massimo di un omicidio all’anno”, dice alla moglie, che non ha alcuna intenzione di seguirlo nella capitale. Assegnato alla seconda divisione della Police Judiciaire, si lancia con ingenuo entusiasmo nel lavoro e non ha molti problemi ad integrarsi nella squadra. Suo diretto superiore è il comandante Caroline Vaudieu, energica e autorevole cinquantenne, che riprende il suo posto dopo due anni di disintossicazione dall’alcool. Seguiremo questo microcosmo nel suo quotidiano, entrando nel profondo della psicologia di vari personaggi. Per questo motivo, definire “polar” o “poliziesco” questo film è riduttivo. Xavier Beauvois si spinge ben oltre la pellicola di “genere” e realizza un’opera di ampio respiro. Le classiche scene d’azione ci sono e sono ben realizzate, ma restano sullo sfondo. All’autore interessano maggiormente altre osservazioni: i rapporti tra colleghi in quello specifico ambiente, il modo in cui si trascorrono le giornate, la noia di pedinamenti e appostamenti, i dialoghi “maschi” ma non volgari dei poliziotti, la routine, pur trattandosi di una routine molto movimentata. Con il passare dei minuti, Caroline Vaudieu diventa la vera protagonista del film. Nathalie Baye offre in questa occasione uno dei suoi ruoli migliori. Mi torna in mente la poliziotta interpretata da Miou-Miou nel 1980 in “Une femme flic” di Yves Boisset, un polar perfetto, un capostipite mai visto in Italia. Caroline frequenta ancora l’Anonima Alcoolisti, non beve più da due anni, ma pensa all’alcool dalla mattina alla sera. Una dipendenza forse meno dannosa per la salute, ma pur sempre una pesante dipendenza. Fa pensare a quelle persone che, per aver fatto voto di castità, pensano solo ed esclusivamente al sesso. Il suo legame con Antoine viene raccontato con sobrietà e naturalezza impressionanti. Dialoghi serrati, scambi anche ruvidi, una singolare “amicizia virile” cementata dall’elaborazione del lutto di Caroline. Cominciò infatti a bere dopo la morte di un figlio di 7 anni, che avrebbe la stessa età di Antoine. Accanto ai due, un altro personaggio prende corpo, soprattutto nella seconda parte del film. Solo (si chiama così) è un maghrebino perfettamente integrato nella società e nella polizia francesi, ma che ha dovuto inizialmente fare i conti con pregiudizi razziali e con l’ostilità della sua stessa gente per la sua scelta professionale. Il breve racconto della sua vita, circondato dalla moglie e dai due figli, davanti ad Antoine, vale più di centinaia di saggi o articoli di stampa. Il ruolo è sostenuto in maniera davvero convincente da Roschdy Zem, da me già apprezzato nel ruolo della guardia del corpo di Fabrice Luchini nel divertentissimo “La fille de Monaco” di Anne Fontaine (2008). Una menzione particolare va agli attori polacchi e russi, nel ruolo di “clochards sans-papiers” alle prese con le forze dell’ordine e con la burocrazia. Attori o persone prese dalla vita reale? La loro naturalezza è disarmante. Si vola alto in questo film, che arrivo ad accostare ad un capolavoro di tanti tanti anni fa: “Il braccio violento della legge” di William Friedkin... Addirittura!
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