Regia di Sydney Pollack vedi scheda film
Il film di Pollack può essere utile per inquadrare, molto sommariamente, i soggetti in campo negli ultimi tempi della dittatura di Fulgencio Batista a Cuba, nei giorni che precedettero la presa del potere di Fidel Castro e dei suoi compagni d'armi. Può anche aiutare a capire cosa fosse Cuba rispetto agli Stati Uniti d'America - sostanzialmente il loro casino (con e senza accento sulla o) a cielo aperto - a partire dal 1898, quando l'isola caraibica fu "liberata" dal dominio spagnolo. E può anche far capire chi siano gli esuli cubani, transfughi da quel 1° gennaio 1959, che oggi vivono rancorosamente a Miami, aspettando la dipartita dell'odiato lìder maximo. A parte questo, però, bisogna dire che un film come Havana, che non risparmia niente in termini di luoghi comuni e sorprese da tipico prodotto hollywoodiano, offre davvero poco, anche perché ripropone per l'ennesima volta lo stereotipo dell'eroe americano cinico ed opportunista che, nel momento del bisogno, dimostra di possedere un cuore d'oro. Non fino all'estremo sacrificio, ma almeno dei propri appetiti sessuali (più che affettivi). È abbastanza poco, per una superproduzione che annovera Redford in una delle sue ultime apparizioni da bello e impossibile e la Olin, da poco reduce dall'Insostenibile leggerezza dell'essere.
Niente da dire sulla sincera ispirazione democratica del regista e del suo interprete principale, anche perché qui, nel 1990, si anticipa la massiccia esportazione della democrazia americana nel mondo degli anni successivi (la prima guerra del golfo inizierà con l'arrivo del 1991), ma artisticamente il risultato di questo kolossal è piuttosto deludente.
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